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la-spugna
ruvido
 
 
tutto è ruvido intorno a noi, proprio
tutto, almeno tutto ciò che esiste
o sembra esistere è ruvido, almeno
tutto ciò che può consistere è ruvido,
tutte le superfici su cui piovono
i riflessi delle cose e si diffondono
e toccano gli oggetti sono ruvide, tutti
gli oggetti sovraesposti per un balzo
dei riflessi, traditi dentro a un balzo
dei riflessi, sono ruvidi,
tutti i corpi sono ruvidi, ruvidi
naturalmente,
anche il tuo corpo nudo così di fronte
al mio non è liscio è ruvido,
il migliore dei ruvidi possibili
per me, persino questa carta se riesce
finché riesce a trattenere un po’
d’inchiostro per un po’, per rispedirlo
chissà dove dopo un po’, non è liscia,
è ruvida, perché tutto ciò che è liscio,
scivola via e non lascia traccia,
e non esiste, e non consiste

*

il disegno sotteso
 
 
 
dilaniata a volte la carne privata,
per tanti motivi diversi, anche
dell’anima adesso mi mostra le ossa
e nuda tutta la sua spugnosa struttura,
il disegno sotteso, il marchio per primo
impresso nell’osso dell’anca
o della tibia, ma è solo per poco,
perché presto ritorno a sentirmi,
magari un brandello un brano
una parte, perché presto ritorno a cercare
la carne, qualcosa che leghi il mio stato
ad un altro, non posso restare senza
quell’altro, dilaniata a volte
la carne privata anche dell’anima
adesso mi mostra le ossa
e nuda tutta la sua spugnosa struttura

(da La spugna, Raffaelli, 2010)

*

la terza madre
 
 
sono sempre la bambina che non mi hanno
detto. un’ipotesi alla nascita, data
come vera, e mai verificata, la luce del giorno
non ci prende per intero.
forse ho sempre quattro anni. o forse sei.
il tempo scorre assai velocemente
incorniciando vuoti spessi dentro la memoria.
la maestra ha steso le lettere intorno all’aula
come si stendono su un filo i panni ad asciugare.
la maestra è come una seconda madre.
non sai mai quale delle due
ti ha insegnato l’alfabeto.
così cammini, con i piedi piantati
sulle doppie lingue delle donne.
la lingua del padre è sempre una cosa
da temere, una strada da non seguire,
che non ti deve appartenere.
sono sempre la bambina che non mi hanno
detto. sono io, la terza madre di me stessa.
sopra quei panni stesi su di un filo ad asciugare
ho costruito il mio altare di parole.
per, non vista, uscire da quell’aula.
per cercare la bambina mai vissuta.
sono sempre la bambina che mi hanno
detto. puoi vedermi o non vedermi.
la luce del giorno non ci prende per intero.

*

dove siamo
 
 
sopra campi, ben arati, quasi di noi
ci sorprenda il disperdere le tracce.
dentro linee ipotetiche dell’aria.
diagonali o trasversali. sottoposti
al vento e alle stagioni. quasi di noi
ci conduca chi non c’è. inseguiti
dai non sensi. appoggiati sui segmenti.
come alunni ripetenti. tra le ombre
di quei neon. da soffitti penzolanti.

dove siamo.

(da Stato di continua amnesia, inedito,
in AAVV, Fragmenta Vol. II, Smasher, 2012, antologia
della II edizione del Premio Ulteriora Mirari)

lella dm