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Klaus Miser – non è un paese per poeti

 

Se è vero che, in letteratura, ciò che accade non deve necessariamente cadere sulla pagina, dovremmo considerare quest’opera come una serie di accadimenti sottesi.  Ma non perché non siano avvenuti realmente. Lo stile attraverso il quale gli avvenimenti sono veicolati conferisce non tanto una sospensione quanto un rinvio. Come se fosse possibile preparare il lettore ad una sorta di differimento della realtà. In poche parole: ciò che è già accaduto, tramite questo tipo di scrittura, deve ancora accadere o comunque sembra dover riproporsi da lì a poco. In tal senso la mancata (e voluta) caduta sulla pagina diviene espediente e dispositivo per la confusione e la moltiplicazione del tempo reale. Del resto in letteratura il tempo è fittizio, nonché molteplice, non può cioè rispondere ai parametri consueti della sua scansione. Se a ciò aggiungiamo l’intersecazione dei piani cosiddetti narrativi e le conseguenti drammatizzazioni (anche astrazioni se volete) del dato di fatto, ecco che l’opera acquista la conformazione di una vera e propria «struttura a delinquere»: un paese che c’è e non c’è, uno status (quello poetico) inconciliabile con qualsiasi realtà, una serie di luoghi rivolti a defigurare più che a configurare, un itinerario, insieme fisico e letterario, decomposto nelle sue fratture. Se la frattura è il luogo della sosta, qui diviene il luogo per la ripartenza, per il rinvenimento di una traccia fantasmatica condannata (artisticamente) a ricrearsi in ogni successivo accadimento, reale o ideale che sia.

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E siamo qui fedeli

al muro che si screpola

allo svanire del tempo

follia in tre tempi

mi regalavo sulla soglia del lago

prima del rigore dell’inverno alla pensione gabriella

in una vasca arrugginita credendomi fassbinder

e invece ero solo una lampadina avvitata male

e un cane a chiazze mangiato d’amore

o una sequenza palustre di nulla

tirata a lucido per questo film

era un pomeriggio caldo

un bosco alle soglie del duemila

colonna sonora delle mie combinazioni

lineamenti di fossi e di vegetazione ripariale

la topografia ridisegnata dalle vene d’acqua

le vene indaco sul tuo braccio perlaceo

si svegliavano assumendo spessore

nel sottoscala dove vivevi

non dimentico più quel potere

fatto di niente

eppure così persistente

da rendere il tempo solo uno sbiadito ricordo

[il tempo che precede l’esistenza]

urgente e bruciante

solo negli avambracci

 

ora luce ora buio

ora stanza d’albergo ora roccia

e sempre muri che si screpolano

ogni giorno fatto di dilatazioni di un solo istante

illusione ottica di agonie

palpebre su luce abbagliante

 

e quindi siamo qui in un giorno d’inverno

scivolamenti confusi

frane complesse

plessi solari periodici

sterni di uccelli perlacei

 

da un’opera abbandonata andarono infine aggravandosi

le mie condizioni mentali

 

e tutto un indagare

pieno di luce e vodka

 

luce indistinta su strade indistinte

 

il corridoio percorso in dieci secondi netti

 

ma ciglia nere lunghe

e un finale di partita

finite le sigarette incisi tacche sul vestito vittoriano

sul lato sinistro una visione e un termosifone

di ferro la prima di ghisa il secondo

pur di non incontrare ancora la luce indistinta

su strade indistinte

 

dal muro solo il facchino come un canto d’amore

desiderio porpora di tiro

 

 

 

Klaus Miser

non è un paese per poeti

Edizioni Prufrock spa, 2015