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Per un’agitazione della cosa letteraria – L’ultima novità di Bologna in Lettere

29 lunedì Apr 2019

Posted by enzocampi61 in Bologna in lettere, Enzo Campi, poesia, Uncategorized

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Enzo Campi – Epico, sapido, quasi sadico: per un (auto)ritratto di Amelia Rosselli

09 venerdì Nov 2018

Posted by enzocampi61 in Babel, Bologna in lettere, Coabitazioni, critica letteraria, Enzo Campi, Filosofia, Letteratura contemporanea, poesia, Poetiche del pensiero, Saggistica, Uncategorized, Voci del Novecento

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Enzo Campi

Epico, sapido, quasi sadico: per un (auto)ritratto di Amelia Rosselli

 

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La speculazione o, se preferite, la specularità produce l’erranza, cioè il movimento. Qualsiasi tipo di movimento è una presentazione. Se ciò che si presenta si riferisce direttamente al (non è altro che il) sé che genera la presentazione, allora si può parlare di un movimento insieme riflettente e riflessivo, che riflette cioè verso l’esterno un’interiorità pensante. Si tratta di un’erranza essenzialmente ellittica, perché supposta, cioè ideata, un po’ come se si volesse far coesistere sullo stesso piano l’ipotesi e l’ipostasi. L’ipotesi, necessariamente congetturale, di chi qui scrive e l’ipostasi dell’autrice trattata. Quest’ultimo termine deve essere inteso da un lato  come la personificazione retorica, e dall’altro lato come la sostanza, posta al di sotto, che genera la manifestazione esteriore delle cose. Precisando quindi che la speculazione a cui ci si riferisce nello specifico è da intendersi essenzialmente come riflesso, come la presentazione di una molteplicità interiore, possiamo procedere con questo sguardo (tanto per restare in tema di speculazioni  aggiungerei: con un «colpo d’occhio») ricognitivo dell’universo rosselliano che, a ben vedere e sulla falsariga della supposizione da cui indirizziamo il flusso, si delinea come un vero e proprio «autoritratto», e cioè come un fenomeno di evidente, lucido e voluto differimento.

La prerogativa dell’autoritratto è quella di ritrarsi, si potrebbe dire di farsi la faccia o di fare-faccia-di-sé. Poniamo il caso limite di un autoritratto che mostri lo stesso autore nell’atto di farsi il ritratto. Sarebbe questo un raddoppiamento, una procedura rafforzativa per evidenziare una parte (la faccia) del tutto (l’intero corpo), assumendo come riferimento una posa. E già qui trasliamo in pieno territorio rosselliano: raddoppiamenti e ribattute di parti di testo come stile formale e urgenza persuasiva (ma questo lo vedremo meglio più avanti), al fine di conclamare l’intero testo in un concetto o comunque al fine di instaurare nel lettore l’idea che possa esistere un concetto riconoscibile[1], nonostante la cripticità della veicolazione testuale, ovvero di quel differimento presentato e ostentato. Ma non è tutto. Nel nostro caso specifico entrerebbe in campo l’ipotesi o la supposizione di potersi deterritorializzare (e quindi differire) restando «in posa» all’interno di una produzione artistica statica. E ciò entrerebbe in contraddizione con la tesi del movimento. Restare in posa significa assumere per l’appunto una posizione statica. Andiamo così a prefigurare il primo dei «doppi movimenti»[2] che costelleranno questa ricognizione: stasi/movimento. Del resto stiamo parlando di raddoppiamenti e di moltiplicazioni, ovvero degli elementi sostanziali dell’autoritratto in linea generale e degli elementi strutturali della scrittura rosselliana in senso specifico.

Diciamolo con Derrida: “Per formare l’ipotesi dell’autoritratto del disegnatore come autoritrattista, e visto di fronte, lo spettatore o l’interprete che noi siamo deve immaginare che il disegnatore non fissi che un punto, uno solo, il fuoco di uno specchio di fronte a lui, ossia dal posto che noi occupiamo, come faccia a faccia con lui: questo non può essere l’autoritratto di un autoritratto che per l’altro, per uno spettatore che occupa il posto di un unico fuoco, ma al centro di ciò che dovrebbe essere uno specchio”[3]. Chi scrive quindi si è posto di fronte, fissando il fuoco dell’autrice.

La Rosselli se da un lato è il “punto” (si potrebbe parlare di un punto ipostatico da cui tutto si genera, ma anche – metafisicamente parlando – di un punto ortivo dotato di una intensità e di una eccedente visibilità) da fissare, dall’altro lato è essa stessa uno specchio-di-sé che riflette l’altra-da-sé. L’autobiografismo storico, sociale, umano e elettivo (i cosiddetti “santi padri” e le parentele cosiddette acquisite con gli autori che citava o usava come pre-testo), per quanto drammatizzato e teatralizzato, ne rappresenta l’occorrenza più evidente. E “lo spettatore o l’interprete che noi siamo” deve per forza di cose formulare quest’ipotesi che – sebbene giustificata in parte da fatti reali o da una critica oggettivamente consolidata – resta tale, cioè prima supposta e poi assunta a parametro di riferimento.

  Come avviene tutto ciò?

Guardando l’autore (il suo punto ipostatico e la funzione-specchio che lo caratterizzano e lo segnano), osservandolo – idealmente, così come si potrebbe osservare un quadro – nell’esercizio delle sue pratiche artistiche. Si tratta quindi di guardare con occhio clinico o, se volete, con un “occhio cieco” proprio quel punto-fuoco-specchio, perché siamo comunque indirizzati  a guardare quello che l’autore vuole che noi guardiamo. È questa la potenza dell’autoritratto. Del resto solo un occhio cieco (o parzialmente cieco) può consentire non dico necessariamente la decodificazione di un ritratto o di un’opera letteraria, ma almeno la contemplazione critica, solo un occhio cieco può permettersi il lusso, per dirlo parafrasando Derrida, di “rimpiazzare e oscurare lo specchio”. Lo spettatore/interprete deve oscurare lo specchio, ovvero vedere il nero che sta dietro e sotto, non più ciò che è visibile ma l’invisibile che genera la visibilità differita e guidata dallo stesso autore. Nel nostro caso specifico il nero degli omaggi e dei prelievi, delle riscritture, del rigore formale, della patologia, della depressione, del male di vivere, ovvero la sostanza ipostatica da cui si dipana la scrittura rosselliana. L’insieme di tutti questi elementi ci porta – inevitabilmente – verso la definizione di una vera e propria «poetica del lutto».

La supposizione (personificazione, sostanza, idea) e l’osservazione (guardare con occhio clinico) fanno quindi scendere in campo uno sguardo diverso, complesso e strutturato. Senza queste prerogative non si produrrebbe né critica, né un’idea di critica. Ma anche l’idea è una supposizione: checché se ne dica le strutture sono sempre ellittiche. E quindi questa funzione-specchio, questo faccia-a-faccia e questo farsi-faccia sono attribuibili alla Rosselli secondo le linee che guidano questa ricognizione. Così come il pittore dipinge se stesso, la Rosselli scrive se stessa, o comunque produce un resoconto, frammentario e drammatizzato, del suo personale background culturale e, in un certo senso, delle linee di condotta ideali della sua vita reale.

Il caso limite del pittore che fa l’autoritratto di se stesso mentre è impegnato a farsi un autoritratto mette in scena una sorta di tripartizione che è strettamente legata al modus operandi rosselliano. Al di là del fatto che tale procedimento rievoca anche la trinità e l’incidenza cristica (divisa tra accettazione/rifiuto e passione/travaglio) riscontrabili in molte delle sue produzioni, la tripartizione del soggetto ci mostra una visione d’insieme decisamente sovrastrutturata: da un lato la coppia io/tu e dall’altro lato il terzo, insieme testimone del misfatto e depositario dei suoi segreti, ovvero colui che mostra all’esterno la guerra intestina tra io e tu. Il terzo – riconducibile, tanto per capirci, alla figura dello sprecher (il cosiddetto “dicitore”) dei quadri manieristi o, come vedremo più avanti, alla figura del fool shakespeareano – è colui che indica e insieme drammatizza, essendo il solo depositario delle corrispondenze pre-testuali che generano l’intero corpo della sua scrittura.

Quando, più avanti, dirò che la Rosselli è sovraesposta nella sua interiorità, intenderò anche l’inevitabilità che la (rap)presentazione di sé attraverso uno specchio informativo/deformante salti subito all’occhio cieco dell’interprete. L’autoritratto del pittore alle prese con il ritratto di sé non ci mostra direttamente il suo sé, ma ci dona l’illusione che egli sia veramente là (in quel luogo, in quel suo luogo, in quel fuoco, in quel suo fuoco) a ritrarre se stesso. E noi dobbiamo credere che sia così. In prima istanza perché si tratta di un autoritratto e in seconda istanza perché ci aspettiamo che egli ritragga se stesso. È nell’immaginario comune che l’autoritratto venga inteso come un corpo a corpo con se stesso. E la Rosselli non è forse impegnata in un corpo a corpo con se stessa e con la scrittura che dovrebbe rappresentarla?

Detto questo, mi sia concessa una ripartenza attraverso la gettata di una serie di interrogazioni.

  Si può parlare di un teatro rosselliano? Di un teatro bellico e ospedaliero? Di un teatro luttuoso o, se preferite, di un teatro poeticamente luttuoso?

Forse sì, se si considera che ad ogni respiro corrisponde una caduta. Quelle del respiro e della caduta non sono figure. Sono de-figurazioni rivolte verso quella che, parafrasando Deleuze, potremmo definire «intensità». In tal senso la scrittura di respiri e cadute, che la Rosselli sottopone all’implacabilità di sistemi e registri luttuosi, rappresenterebbe il «movimento dell’intensità». Intensità non è necessariamente sinonimo di ritmo, ma la sua declinazione non può non tenerne conto. E, in effetti, in questo teatro guerrafondaio, tutto verte sul (sos)tenere e sul portare, sulle linee simultanee dell’intensione e dell’estensione, del risuonarsi e del risuonare, della propagazione e del rientro.

Avendo tempo bisognerebbe parlare proprio di tenuta del ritmo, o del ritmo che tiene insieme gli elementi all’interno di un sistema[4]. Un sistema di registri, non esclusivamente fonici o fonematici, non ridotti cioè a puro espediente, ma che comunque persistono come traccia evidente e determinante.  Il sistema dei registri letterari della Rosselli è da considerarsi come una vera e propria macchina i cui ingranaggi vengono continuamente oliati dall’autore-untore. Una macchina che viene decisamente ostentata, se vogliamo messa in scena, e quindi teatralizzata.

Se il teatro non è solo «fare scena», la letteratura non può ridursi solo all’atto di scrivere. Secondo Nancy il teatro si fonda su un “addio alla presenza”, e secondo la lezione di Carmelo Bene il teatro è estromissione. D’altro canto, più la presentazione è caratterizzata e più si respira odore di estromissione. Allora nel teatro letterario rosselliano verrebbe spontaneo parlare degli addii, delle cerimonie e dei rituali ove si consuma l’addio, o meglio ancora: dell’atto ove si dice «addio» all’addio, ove ci si dice «addio» abbandonandosi. Abbandono da sé e dal sé, dalla presenza. Ma questo abbandono della presenza viene comunque ostentato e presentato, si rende presente, diviene addirittura un presente, anche nel senso di regalo, dono.

  Qual è il dono che qui si vagheggia?

  La caduta?

Si scrive un primo rigo, lo si configura come tipo o prototipo e si stabilisce il punto della caduta. E ogni rigo che seguirà cadrà più o meno allo stesso punto dove cade il primo. Ma questa è una cosa consolidata, è una delle prassi stilistiche della scrittura rosselliana. Quindi: la caduta! Amelia cade, cade a noi. Si abbandona a noi e cade su di noi. Ma prima ancora di potersi definire abbandonata a noi, essa si abbandona a sé estromettendosi dalla sua stessa presenza.

  Come avviene tutto ciò?

In primo luogo presentandosi altera, sia altra che alterata, attratta e insieme distratta da un sé che cerca, in quella che abbiamo definito «funzione-specchio», altri sé di cui nutrirsi e da portare, in un certo senso, al patibolo (al suo stesso patibolo?). In secondo luogo dicendo «addio», dicendosi addio.

  Ma cos’è questo «addio»?

Una cicatrice ben visibile, una lacerazione, se volete: uno scarto. Ciò che resta dell’atto in cui ci si estromette dal fare-scena, dal fare-letteratura e, in ultima istanza, dal fare-vita.

  Come ci si estromette dal fare-vita?

Molto semplicemente mettendo al lavoro il lutto. Non si tratta necessariamente di morire, ma di praticare pedissequamente e quotidianamente la poetica del lutto, ovvero di morire poco per volta, ogni giorno[5] e in ogni testo[6]. Per questo è necessario almeno un addio, per questo bisogna declinare un intero sistema di addii. Si potrebbe dire che il sistema degli addii e la tenuta del ritmo siano gli elementi fondanti della roccaforte rosselliana. Una roccaforte che si potrebbe definire come una struttura ingabbiata. Per naturale consuetudine, ragioniamo sia in termini di serialità (la “competenza associativa” che Agosti attribuiva alla Rosselli è, forse, uno degli esempi più abnormi di serialità applicata alla letteratura poetica contemporanea[7]) che in termini di “ingabbiamento”. Se la gabbia (e non mi riferisco solo a quella metrica[8]) è un contenitore diventa necessario parlare di struttura quantificandone almeno altezza, larghezza e profondità. Se l’altezza è il dispositivo che dona intensità alla ripetizione divenendo sintomo di persuasione, se la larghezza è quel meccanismo che contrae e insieme dilata gli elementi della gabbia ove si consolida e si consuma l’atto stesso di scrivere, se la profondità è spessore e consistenza delle pieghe nelle quali la Rosselli precipita, allora la struttura complessiva diviene inevitabilmente sapida e insieme sadica. C’è qui un farsi faccia-di-sé mentre ci si costituisce come interfaccia verso l’altro. Quell’altro che, nella sua altera terribilità, può rinvenire in superficie solo nella proiezione della sua immagine, un’immagine parlante e scrivente. Così i vari «tu» che, di volta in volta, si avvicendano nella poetica rosselliana, dovrebbero intendersi anche come la personificazione di una serie di presenze, idealizzate come urgenti e necessarie, che devono essere smembrate nelle loro parti costitutive e quindi, in un certo senso e come appena accennato, indirizzate verso il patibolo. Molto semplicemente, l’esecuzione (presentazione della propria partitura) virtuosistica della Rosselli si verifica nell’esecuzione (messa a morte) di ciò che forma il suo tessuto pre-testuale.

Ogni struttura, in quanto percorso concettuale idealizzato, possiede un suo punto di partenza e un suo punto d’arrivo. Al di là delle sperimentazioni giovanili, dell’apologia del frammento e delle contraddittorie dichiarazioni dell’autrice relative all’esatta datazione delle sue opere, per comodità d’esposizione e per avvalorare il concetto che seguirà, poniamo che i punti di partenza e d’arrivo dell’iter letterario rosselliano possano essere – idealmente – identificati in due poemetti: La libellula e Improptu. Nell’apertura de La libellula leggiamo: “[…] prendere/ il salto per un addio più difficile”, e nella chiusa di  Improptu leggiamo: “[…]perché il ritmo t’aveva al dunque// già occhieggiata da prima”. Da prima, all’inizio della saga, cioè ai tempi de La libellula, come se il “salto per un addio”, difficile proprio perché finale, ultimo e definitivo[9], abbisognasse di un suo ritmo proprio, un ritmo ricercato e inseguito in tutte le produzioni comprese, temporalmente, tra i due poemetti. In tal senso l’ostentazione della sua letteratura essenzialmente luttuosa sarebbe stata concepita e perseguita proprio per trovare il giusto ritmo da conferire all’addio definitivo.

Nello specifico, e in un senso più ampio, i due poemetti – dal punto di vista formale e di caduta tipografica sulla pagina – mettono in scena un doppio sistema di addii. Quello asfittico[10] de La Libellula e quello spaziato e areale di Impromptu. Ad ogni sistema corrisponde un ritmo. L’asfissia del primo implica, almeno per figurazione, il lutto, così come l’arealità del secondo, checché se ne dica, ne libera la poetica. Il flusso ininterrotto del primo mette al lavoro una sorta di peso metafisico e  lo spaziamento del secondo si nutre della leggerezza. Amalgamando le due definizioni si potrebbe parlare di un «peso leggero». Ma non sarebbe del tutto giusto perché il peso che la Rosselli porta con sé e dissemina fuori di sé rischia le accezioni della «soma». Difatti non sarebbe del tutto azzardato affermare che la forma espressiva della Rosselli sia essenzialmente somatica. Ma questa forma ha una sua specifica funzione. La funzionalità o meglio, per dirlo con Deleuze, il «funzionalismo» della scrittura rosselliana è da ricercarsi nel «mezzo differenziale» che rende persuasivi i singoli elementi caricandoli di un peso eccessivo, a tratti straniante o alogico. Gli elementi di cui si parla sono naturalmente le parole-chiave, riconosciute e denominate come “fondamentali”[11], quelle parole da cui si dipana la serie delle variazioni e quindi la drammatizzazione. Una drammatizzazione che potrebbe anche essere considerata come una sorta di chiusura a riccio (vale qui come esempio l’istrice derridiano[12]), almeno nell’apparente cripticità del messaggio che si intende veicolare.

Poco più indietro ho pronunciato la parola “roccaforte”, ovvero qualcosa di protettivo e impenetrabile. Se ciò che è trasparente – e che offre quindi la visione e la comprensione di ciò che è posto al proprio interno – invita alla penetrazione, ciò che invece si inspessisce a cosa invita? Al cozzo contro un muro impenetrabile? Non credo che il muro (recinto?, reticolato?) eretto dalla Rosselli sia totalmente impenetrabile. Forse perché è un muro stratificato, e ogni strato ha una sua diversa e specifica consistenza a cui corrispondono comunque delle chiavi d’accesso.

  Quali sono queste chiavi?

Dal punto di vista dello “spettatore o interprete che noi siamo” direi innanzitutto la lettura, una doppia lettura: quella emozionale e quella critica. E in seconda istanza l’ascolto. Diciamolo con Nancy:  “Ascoltare significa entrare in quella spazialità dalla quale, nello stesso tempo, sono penetrato: perché essa si apre in me tanto quanto attorno a me, e a partire da me tanto quanto verso di me: si apre in me così come fuori di me. Ed è per una tale doppia, quadrupla o sestupla apertura che un «sé» può aver luogo. Essere in ascolto è essere allo stesso tempo fuori e dentro, essere aperti dal di fuori e dal di dentro: dall’uno all’altro, dunque, e dall’uno nell’altro. L’ascolto produrrebbe così quella singolarità sensibile che condurrebbe la condizione sensibile o sensitiva (aisthética) come tale alla modalità più ostensiva: la spartizione di un dentro/fuori, divisione e partecipazione, sconnessione e contagio”[13]. In senso propriamente speculativo: “modalità più ostensiva” (che è presentazione dell’estensione che si costituisce a partire da ciò che risiede nello specchio-di-sé), “spartizione di un dentro/fuori” (che è spaziamento e insieme invasione dello spazio nel doppio procedimento riempimento/svuotamento), “divisione e partecipazione” (che è lo smembramento del proprio background elettivo e la sua partecipazione verso l’esterno), “sconnessione e contagio” (cripticità del messaggio e volontà persuasiva), sono tutti elementi fondanti (e quindi anche distruttivi) dell’autoritratto rosselliano. Ma la questione non si riduce solo a questo. La componente sonora è determinante nel processo compositivo della Rosselli. È come se senso e suono fossero elementi complementari e indiscernibili della struttura. Perché senso e suono sono fatti di rinvii e propagazioni[14]. Suono e senso si rapportano vicendevolmente in una situazione che rinvia a quella funzione-specchio di cui si è già accennato. Una funzione che diviene funzionale per la presentazione e per l’ostensione del «mezzo differenziale» che caratterizza indelebilmente la macchina rosselliana. L’unica differenza è che la percezione trasla su un livello uditivo. Anche se in realtà, tra le righe, stiamo parlando di ascolto fin dall’inizio. Ci siamo posti cioè all’ascolto di un sé che si poneva all’ascolto-di-sé per ascoltare l’altro. Risuonarsi e risuonare: è questo il senso che parte dal suono e ritorna al suono. Si potrebbe dire che il “fondamentale”, presentando il suo peso, apre la strada agli “armonici” che propagano all’esterno il senso e rientrano in sé vibrando. Quando parlerò di “onda nervosa” intenderò anche questa messa in risonanza, un essere-teso-in-sé che dispensa tensione, che distribuisce (anche a se stesso) forze in azione. Del resto siamo partiti proprio da questo: dal movimento, da una doppia erranza, sia statica che dinamica, da un registro di forze speculari e speculative che non possono ridursi solo ad un semplice fatto estetico o formale in quanto risultanti da uno spettro più ampio e decisamente articolato.

Ma il cozzo (la collisione e anche l’eventualità di una rottura), che abbiamo trasformato da impenetrabile a penetrabile, comunque persiste. Se ad ogni collisione corrisponde una rottura allora si tratterebbe di innestare l’ospite (il lettore, ma anche e soprattutto lo studioso) negli ingranaggi della macchina rosselliana per osservare, in prima persona, il decorso della rottura che ne consegue. Per essere più specifici bisognerebbe parlare di una doppia rottura, quella essenzialmente compositiva (riferita alla gabbia metrica e alle scansioni retoriche e fonematiche) e quella essenzialmente umana della depressione e dell’instabilità psichica. Si potrebbe dire, semplificando e riducendo, che la macchina rosselliana sia essenzialmente sovraesposta nella sua interiorità o, se preferite, nella drammatizzazione esasperata di quell’intestinità che non abbiamo esitato a definire persuasiva.

Tutto ciò che è volto a persuadere contiene in sé dei pesi da distribuire. Da distribuire sul foglio, sulla tela, sul corpo. Le parole si ripetono, esplodono, si dilagano a raggiera, a ventaglio, ma ritornano, e si ripetono ancora, in poche parole le parole sono sempre alla ricerca di una seppur minima variazione.

  C’è una spiccata volontà di persuasione nella scrittura rosselliana?

Sì, decisamente sì.

Spesso ci troviamo di fronte ad una sorta di voce sciamanica impegnata a ripetere ossessivamente le parole-chiave o le frasi-chiave [15] dei suoi rituali che, beninteso, non sono rivolti ad esorcizzare alcunché, ma solo a consolidare una sorta di volontà di potenza rovesciata indirizzata verso la disillusione, la sconfitta e la morte, in poche parole verso il conferimento della tragicità a tutte le cose della vita. La Rosselli ci porta a sé presentando l’abbandono da sé, la progressiva dissoluzione della sua presenza attraverso l’ostentazione dei suoi ritmi finalizzati a declinare un sistema di addii e a conclamare una poetica che deve essere intesa anche come il tentativo di estromettersi dal fare-vita attraverso l’impersonificazione del lutto.

A titolo d’occorrenza, e per dare un senso anche al colpo di coda che titola il volume, possiamo citare alcune «chiuse»: “[…] domani ti stirerai / rotta fra gli stracci della pietà”; “Volli tentare il pieno ne ricavai / strette misure”; “[…] il mio grido di fanciulla senza colomba”; “La speranza è un danno forse definitivo[…]”; “[…] il sigillo / della noncuranza e del vuoto armarsi / alla morte senza pensare alla vita!”[16], dove risulta evidente la carica luttuosa del colpo di coda rosselliano.

Il flusso letterario della Rosselli è una specie di onda nervosa o, per meglio dire, fibrillante. Una linea elettrica destinata a scuotere e caratterizzare il corpo del testo. Così il flusso si propaga, da verso a verso, permettendo l’intercomunicazione e l’associazione tra i fondamentali e gli armonici ovvero, come già accennato, tra le parole-chiave e le sue variazioni. Se c’è un’identità specifica, essa si dà non nell’unicità o nel fissaggio di un concetto specifico, ma solo nelle sue combinazioni evolutive (o regressive, ma è la stessa cosa). E il flusso ha un ritmo, scandito su varie unità che ne permettono il dispiegamento. Questo ritmo ha una sua precisa funzionalità, quella cioè di creare un sistema di tensioni interne che consentono ai sensi di interagire col senso. Ma, beninteso, non si tratta necessariamente di stabilire un senso specifico. Gli arte-fatti rosselliani chiedono al lettore uno sforzo oppositivo che si potrebbe individuare nella giustapposizione e quindi nella riconciliazione di tensioni attive e passive, ovvero nell’intercambiabilità tra forze in caduta che aspirano ad una risalita e forze in caduta che vorrebbero oltrepassare il limite imposto dal fondo. In entrambi i casi la semplice caduta non basta, non è sufficiente né esaustiva. La caduta rappresenta il gesto inaugurale del percorso di avvicinamento verso qualcosa d’altro e verso l’altro. In tal senso la caduta sarebbe il tramite, il mezzo per il raggiungimento dell’obiettivo (ammesso che ci sia un vero, tangibile obiettivo). Ancora una volta un «mezzo differenziale» che può permettere la costituzione di un unicum[17] e quindi una sorta di eccedenza che non esiterei a definire genetica. La riconciliazione dell’opposizione attivo/passivo[18] non è il solo doppio che agisce (o si fa agire) all’interno dei testi rosselliani. Le sequenze e le interferenze si moltiplicano a vista d’occhio e potrebbero essere semplificate almeno in una serie di doppi legami, doppi colpi, doppie colpe, doppi vincoli, doppie obbligazioni, tutti filtrati e consolidati dall’uso e dall’abuso, quasi estenuante, di un ventaglio di figure retoriche. Per avere un quadro esauriente di questi procedimenti bisognerebbe citare buona parte delle sue produzioni. Cosa naturalmente non possibile. A solo titolo d’occorrenza va citata, come già evidenziato dal Baldacci[19], almeno la figura dell’anadiplosi, che trova un’evidente, abnorme teatralizzazione nel passaggio: “Anacoreta e vergognosa. Anacoreta vergognosa si vergognava […][20]”.

Tutto, nella Rosselli, verte sul doppio e sul raddoppiamento perché – proprio per l’imprinting luttuoso – ad ogni gettata verso l’esterno, verso un qualsiasi destinatario corrisponde un ritorno verso il mittente, un rientro-a-sé. Sembrerà quindi evidente che «il colpo di coda» non può rappresentare un punto di fuga ma un punto di rientro. Le «chiuse» rosselliane non sono rivolte al cosiddetto buon fine, ma anzi rientrano nel corpo del testo, nel corpo del malessere e del disagio esistenziale. È come se la Rosselli si sottoponesse a un preciso e costante lavoro di auto-flagellazione insistendo su quello che non può essere risolto e che amplifica il procedimento luttuoso. E tutto ciò è strettamente correlato al processo di flagellazione a cui sottopone la sua stessa scrittura da un punto di vista formale.

Relativamente alla flagellazione della scrittura  – e per restare in tema con quanto espresso nel titolo di questa ricognizione – ci toccherà accennare al carattere epico che pervade e caratterizza l’insieme della sua opera. Epico, nel senso di poematico, ma anche nel senso di eroico e di mitico. L’epos rosselliano si traduce nell’assimilazione in sé del mito e nella reinvenzione teatralizzata di un con-testo ove sia possibile intravederlo. Sarebbe pressoché impossibile fornire un elenco completo dei “santi padri”, di quegli autori e dei miti che l’avevano influenzata e che lei aveva – a modo suo – omaggiato attraverso l’uso di citazioni, più o meno esplicite, che si costituivano a partire da una parola o da una frase presa in prestito o, se preferite, prelevata da contesti altri, di trasformazioni strutturali e di continui rinvii.

Citerei nuovamente Baldacci che, a tal proposito, mi sembra esaustivo. “La citazione in quanto luogo dell’altro, della parola altrui, diviene il punto di partenza per l’eccentrica costruzione di una voce e di una identità propria. Parodia dell’autenticità dunque, e autenticità come parodia: appropriazione con procedura quasi cannibalica del corpus della tradizione”[21].

Questo cannibalismo è strettamente correlato con il sadismo avanzato nel titolo. Quasi come se ci fosse, nella Rosselli, una precisa volontà non tanto di infierire sui vari contesti storici e sui movimenti letterari, ma comunque di intervenire radicalmente su tematiche, autori, ideologie che avevano prodotto un segno passibile di riproposizione e reinvenzione. Per questo, forse, ha adottato un linguaggio persuasivo, incalzante, ossessivo, per innestare cioè nei lettori e negli studiosi il seme generativo di quelle figure che si potrebbero definire «motivazionali» e che venivano poi trasfigurate all’interno del proprio corpo testuale. Anche se il paragone potrebbe sembrare azzardato, e per ritornare ai registri delle tensioni interne al testo, si potrebbe trovare un parallelismo con le opere di Bacon, dove quella che si potrebbe definire «la cattura della forza» si dà solo sottoponendo il soggetto e l’oggetto a un processo di macellazione, allo scopo ultimo di disvelare ciò che sta sotto, l’anatomia primaria e sostanziale, con tanto di fibre e fasce nervose o, se si vuole, traslando in ambito puramente letterario, il sottotesto. È questo il vero sadismo, cioè l’implacabilità di quel procedimento formale che nasce e si sviluppa dalla macellazione di un incipit concettuale sovraccarico di forze e tensioni e dalla successiva creazione di un sistema di forze che si generano dalle prime. Si tratta di una sorta di sacrificio, dove ciò che viene sacrificato è proprio il mito.

Al di là della forte presenza cristica che attraversa buona parte delle produzioni rosselliane, sarebbe opportuno accennare alla sua innata predisposizione verso il sacro e proprio verso un’idea di sacrificio[22] come necessità dalla quale non si può prescindere. Predisposizione eroica se vogliamo, e quindi anche epica.

  Dov’è l’epos?

L’epos è nel punto che reclama, a viva voce e in fiumi d’inchiostro, i suoi contrappunti, nel trasferimento  da un corpo all’altro, nella moltiplicazione e nella confusione delle «carte d’identità». Rosselli si districa con apparente e talvolta eccedente disinvoltura tra Lautréamont e Rimbaud, Montale e Campana, Rilke e Mallarmé, Petrarca e Pound, Proust e Eliot, solo per fare alcuni nomi. Il mito difatti non è riferibile solo a ciò che appartiene al passato (prossimo o remoto che sia), ma anzi è da ricercarsi anche tra i contemporanei, il tutto nell’accettazione/rifiuto sia di una tradizione lirica che della sperimentazione avanguardistica. Ma, al di là di tutto questo, per epico e mitico si intenda anche «continuativo».

  C’è continuità nella scrittura rosselliana?

Sicuramente sì. Le dediche ai santi padri, alle “fanciulle”[23] oltraggiate dalla storia, la continua frequentazione dei testi e dei temi shakespeareani sono determinanti in tal senso. Eccoci dunque approdati nel mitico e luttuoso universo shakespeareano. Tandello avanza l’ipotesi che l’Ortensia rosselliana de La Libellula sia riconducibile all’Ofelia shakespeareana, o che comunque Ortensia[24] sia, in un certo senso, “ofelizzata”[25], cioè trattata (delineata e manipolata in senso drammatico) allo stesso modo con cui Shakespeare aveva trattato Ofelia. È quasi superfluo evidenziare di come bisognerebbe insistere sull’idea del «trattamento», in quanto caratteristica peculiare delle pratiche rosselliane.

  Attraverso quali modalità avviene questo trattamento?

Per quanto riguarda Shakespeare, riferendosi nello specifico a October Elisabethans e Sleep, vi sono almeno due modalità principali. La prima modalità è quella dell’adattamento della versificazione verso le forme proprie del sonetto. La seconda invece è relativa al fatto di richiamare situazioni e tematiche care al dramma elisabettiano: la modalità della lamentazione, l’incipit amoroso che culmina nella morte, il rapporto conflittuale con il divino, la tendenza al sacrificio, le implicazioni tra sovranità e servitù che condizionano i rapporti interpersonali, l’uso della maschera che confonde e insieme fortifica le posizioni drammaturgiche. Così facendo – e tenendo conto dell’elaborazione, per così dire, ragionata e costruita delle sue posizioni concettuali e formali ­– si presuppone che le sia venuto naturale instaurare una situazione metateatrale e ipertestuale, rievocando e identificandosi, tra le altre cose, con le caratteristiche essenziali del fool shakespeareano, perché se da un lato ciò le permetteva – nell’ennesimo sdoppiamento – di divenire «il portavoce dell’autore» (cioè se stessa filtrata dal riflesso dell’autore e amplificata dalla maschera del fool), dall’altro lato si conferiva il ruolo di una sorta di depositario della verità, avanzando ipotesi sull’effettiva realtà delle cose e sulla loro prosecuzione in termini altri. Anche se tutto (ma è questa, forse, la vera forza) veniva rappresentato in chiave, per così dire, giullaresca o comunque parodistica[26], insomma attraverso uno straniamento.                                                                                                                                                                                                    Questa caratteristica del fool non va sottovalutata, perché non è certo una forzatura affermare – visto il carattere persuasivo del diktat rosselliano – che l’ergersi, in linea generale, come «portavoce» delle voci al femminile[27] fosse una sua intenzione primaria, anche a costo di amplificare ciò che il mondo al maschile pensava delle donne e delle donne-in-poesia, e cioè citando Tandello: “[…] l’istituzione di un  Soggetto-Fanciulla che è insieme oggetto e soggetto di assenza: perduta, e in-perdita”[28]. Ancora una coppia oppositiva quindi: la rivalsa, implicita nelle intenzioni, si dà nell’enfatizzazione del suo contrario, ovvero nell’apologia dello stereotipo femminile che soccombe al flusso e al peso di ciò che le viene socialmente e storicamente imposto.

In senso generale la naturale tendenza al lutto consente alla Rosselli di virare verso il dramma rivestendosi di una patina di epicità e di solennità che proviene anche dalla perfetta conoscenza delle opere e delle modalità shakespeareane[29], ovvero di quella che rappresenta la più abnorme e potente  «carica luttuosa» della letteratura mondiale, paragonabile per continuità e intensità solo alle tragedie greche.

È come se l’uscir-fuori pretendesse, come vincolo e obbligo, l’entrare-dentro, o meglio: il rientrare-dentro. L’urgenza meta-testuale si fa specchio, e quindi riflesso, delle varie donne, sopite e insieme ridestate, che la Rosselli personificava nella sua scrittura, un po’ come se tutte le eroine e le “fanciulle” potessero essere restituite (ma anche massacrate) solo attraverso il suo volto. Così, di volta in volta, Amelia presentava il travaglio di una Cassandra, di un’Antigone, di un’Ofelia, ma anche di una Dickinson, di una Woolf, di una Plath, attraverso la malinconia e la sofferenza del suo stesso volto e attraverso la carica luttuosa della sua scrittura. L’abbiamo già sottolineato: farsi faccia-di-sé per presentare la faccia-altra-da-sé. Quella faccia altra, in quel determinato momento, nella sua messa-in-carta, poteva e doveva divenire la sua stessa faccia (o una parte caratterizzante della sua faccia), allo stesso modo carica, densa, pregna. Questo procedimento, come già accennato, semba rivolto essenzialmente alla restituzione di un peso, o meglio di un doppio peso, e abbisogna quindi di una doppia restituzione. Da qui la moltiplicazione delle facce note o ignote, nobili o plebee, degli sguardi, dei dolori e dei disagi esistenziali. Queste facce-specchio-del-travaglio, per la necessaria teatralizzazione che bisognava conferire alla scrittura, non potevano essere restituite nella loro interezza e integrità. Bisognava allora trovare un meccanismo che potesse permettere di avvinarsi a loro anche procedendo, per così dire, a ritroso o di estrometterle proprio personificandole. Sempre una doppia colpa: quella di potersi rappresentare solo nel riflesso dell’altra e quella di poter rappresentare l’altra solo nel riflesso distorto e drammatizzato di sé. E ancora un doppio colpo: quello di operare per tagli e insieme suture, rendendo così vive e pulsanti le citazioni e le trasformazioni.

Così, operando sui frammenti, poteva aver luogo la presentazione della sua superficie, del quadro-di-sé (o del quadrato-di-sé, se ci si riferisce al procedimento formale della “forma cubo”) che si fa faccia stagliandosi su un supporto che è, beninteso, la summa di un sostrato concettuale così carico di forze e tensioni da trasformare il pensiero in un peso da distribuire, quasi implacabilmente, a se stessa e alla posterità: “Io per conto mio – scrive Amelia a Davico Bonino – devo anzi lottare contro la mia tendenza ad essere autore post-mortem, e vorrei che mi si aiutasse un poco per questo”, ovvero e molto semplicemente: un autoritratto.

Checché se ne dica, tutto ciò diviene essenzialmente sapido, si presta cioè ad essere degustato, per così dire, con soddisfazione e rientra a pieno diritto nelle categorie dell’epicità, di un innato eroismo (positivo o negativo che sia) che confonde sadismo e masochismo per meglio definirsi e per meglio sfibrarsi. In tal senso la Rosselli potrebbe essere considerata un’eroina, perché martire di se stessa e della propria scrittura. Una scrittura che abbiamo definito continuativa e che potremmo ri-definire «ininterrotta», come se fosse costituita da una sola, unica opera in un chiaro continuum di posizioni concettuali, scelte stilistiche, rinvii ipertestuali, il tutto inserito e consolidato all’interno di una cornice luttuosa volta a contenere il quadro, il ritratto, l’opera della sua «consumazione», una consumazione che potrebbe essere riassunta e emblematizzata in una sua stessa dichiarazione: “Ho scelto di non sposarmi per non distrarmi da lei (la poesia)”.

Ricapitolando e ricongiungendo, una volta stabilito il fondamentale o una serie di fondamentali, innestando delle unità traumatiche (da un lato i prelievi da testi altri da ri-configurare; dall’altro lato tutto ciò che derivava dal suo malessere psico-esistenziale) all’interno del corpo testuale, procedeva alla disseminazione degli armonici per stabilire una sorta di cortocircuito, per configurare i suoi colpi di coda (chiuse anti-catartiche fondate sull’idea del lutto al lavoro) e per ricercare (sulla falsariga di una musicalità congenita) un ritmo da conferire all’addio delle figure che da lei fuoriuscivano e che a lei rientravano in quel farsi-faccia-di-sé, in quello specchio dove mescolava, delicatamente e insieme furiosamente, le sue e le altrui alterità.

In una guerra così articolata non ci poteva essere spazio che per la scrittura, per una scrittura insieme articolata e disarticolata, interrotta e ripresa, ribattuta sadicamente colpo su colpo, per meglio persuadere o per restituire all’esterno almeno una parte delle unità traumatiche che costituivano e caratterizzavano le sue strutture.

 

 

 

Tentare una soluzione: anche se è soltanto la morte

indivisa dal tuo sorgere, sole

 

*

 

 

Cara vita che mi sei andata perduta

con te avrei fatto faville se solo tu

non fosti andata perduta

 

 

*

 

Parole pacifiche

sono incastrate nel nulla

ho riminiscenze del tutto

e non so tutto

 

Parole nel nulla! – non

voglio esclamare: sono

atrofizzata, e non c’è

 

nulla da fare[30]

 

 * Note

 

 

[1] È significativo osservare come la Rosselli spesso dichiarasse che la sua fosse una scrittura semplice e che si sforzasse di essere il più possibile comprensibile.

[2] “Tu non eri morto; eri soltanto vivo […] Tu non eri vivo; eri soltanto morto” (PO, p.428)

[3] Jacques Derrida, Memorie di cieco. L’autoritratto e altre rovine, Trad. A. Cariolato, F. Ferrari, Abscondita, 2003, p. 80

[4] “Il comporsi delle parole nella struttura della frase mima i processi di costruzione del pensiero: la grammatica poetica si espande a partire dall’unità fonica, per aggregazione analogica e quasi per irradiazione. Trasfigurata da una semantica endogena la parola si aliena dal suo significato sociale e convenzionale, costruisce una traiettoria di significato divergente, si impone come proveniente da un dizionario privato, lasciando il dizionario pubblico sullo sfondo, come eco di una possibilità di senso respinta. La rete delle associazioni, sostenuta dal sistema dei richiami fonici e delle rime, cattura significati contigui a quelli delle parole presenti nella poesia, come per una sorta di attrazione gravitazionale”.  (Paolo Gervasi, Amelia Rosselli. Lo spazio sonoro della mente, in Sonia Bergamasco, Variazioni da Amelia Rosselli, Luca Sossella Editore, 2014, p.16)

[5] “E se il morire è cosa di ogni giorno / anche il tuo sguardo ha luci maligne / e un tuo cenno di timidezza o d’amore // non fa altro che ritardare l’orrore / di un giorno” (PO, p.520)

[6] Solo tre occorrenze: “e la vita si rivelava / con le sue crepe interne: veri miasmi di terrore”; “mai ebbi da voi altro che prigioni”; “Ogni giorno della sua inesplicabile esistenza / parole mute in fila”. (PO, rispettivamente p. 279, 515, 565)

[7] “[…] le procedure associative si effettuano parallelamente al costituirsi di un’orditura sintattica sostanzialmente chiusa. Il che significa che i processi di associazione sono chiamati a confrontarsi con la loro stessa possibilità di convivere all’interno di un “discorso” che essi medesimi hanno prodotto. […] le associazioni, nel nostro caso, risultano vincolate alla possibilità di costituire (e di costituirsi come) insiemi sintatticamente chiusi (e qualora l’insieme rimanga aperto, ma senza effrazione, si tratterà semplicemente di una progettazione specifica). […] Che cosa comporta una situazione del genere? Ebbene, essa comporta non tanto espansione illimitata, e puntiforme della semanticità, vale a dire effetti di polisemia (come nel testo futurista), quanto produzione di percorsi di senso plurimi, sovrapposti e discontinui, normalmente non grammaticalizzati, nessuno dei quali risulta prioritario o egemonico rispetto agi altri. […] I fatti associativi – nella loro varia fenomenologia – a partire dai quali si costruisce il testo si definiranno, a questo punto, come i luoghi (i nodi) di produzione del senso e, insieme, di fuga del senso” (Stefano Agosti, La competenza associativa di Amelia Rosselli, in id. Poesia italiana contemporanea, Bompiani, 1995, p.144)

[8] “[…] I miei versi poetici non poterono più scampare dall’universalità dello spazio unico: le lunghezze ed i tempi dei versi erano prestabiliti, la mia unità organizzativa era definibile, i miei ritmi si adattavano non ad un mio volere soltanto ma allo spazio già deciso, e questo spazio era del tutto ricoperto di esperienze, realtà, oggetti, e sensazioni. Trasponendo la complessità ritmica della lingua parlata e pensata ma non scandita, tramite un numerosissimo variare di particelle timbriche e ritmiche entro un unico e limitato spazio tipico, la mia metrica se non regolare era almeno totale: tutti i ritmi possibili immaginabili riempivano minuziosamente il mio quadrato a profondità timbrica, la mia ritmica era musicale sino agli ultimi sperimenti del post-webernismo, la mia regolarità, quando esistente, era contrastata da un formicolio di ritmi traducibili non in piedi o in misure lunghe o corte, ma in durate microscopiche appena appena annotabili, volendo, a matita su carta grafica millesimale. L’unità base del verso non era né la lettera, disgregatrice ed insignificante, né la sillaba, ritmica e mordace ma pur sempre senza idealità, ma piuttosto la parola intera, di qualsiasi genere indifferentemente, le parole essendo considerate tutte di egual valore e peso, tutte da manipolarsi come idee concrete ed astratte” (Amelia Rosselli, Spazi metrici, in PO, p. 340)

[9] Lungi da me  avanzare l’ipotesi che fin dai primi versi de La libellula Amelia Rosselli già pensasse o prefigurasse il suo “salto per un addio più difficile”, il suo gesto ultimo e definitivo che l’ha vista precipitarsi dal quinto piano del palazzo romano dove viveva. Del resto è una cosa che può essere presa in considerazione solo da un punto di vista psico-analitico, ma è comunque una curiosa coincidenza e potrebbe rappresentare una delle accezioni del nostro “colpo di coda”.

[10] Il “rullo” cui accennava la Rosselli è da intendersi anche in tal senso, come un flusso decisamente asfittico, come un pensiero pesante che può darsi tutto d’un fiato, in contraddizione solo apparente col “tono un po’ volatile” del poema o, se volete, in correlazione con i «doppi movimenti» in cui la Rosselli si praticava. Cfr. Amelia Rosselli, Lettere a Pasolini, S. Marco dei Giustiniani, 2008, pp. 48-49

[11] Il termine proviene da un parallelismo, si potrebbe dire da una sorta di corrispondenza biunivoca tra musica e poesia, che nello specifico è influenzata dagli studi musicologici compiuti dall’autrice. Riportiamo qui un passo della Barile che ci sembra, in tal senso, esaustivo: “ […] sono musiche che non si basano sulla scala tonale, con la successione delle note (o frequenze) dell’ottava allineata secondo il sistema cosiddetto «temperato» (do re mi fa sol la si do), inventato in epoca barocca e codificato dall’opera di Bach: ma sulla scala naturale, basata sulla teoria degli armonici, che attinge i suoni dalla serie degli armonici naturali di una nota di riferimento. Gli armonici naturali sono costituiti dall’alone sonoro che si sviluppa a partire da un suono pizzicato: cioè, una successione di suoni le cui frequenze sono multipli di una nota di base, detta «fondamentale»”. (Laura Barile legge Amelia Rosselli, Nottetempo, 2014, p.42)

[12] Cfr. Jacques Derrida, Che cos’è la poesia, in Maurizio Ferraris, Postille a Derrida, Rosenberg & Sellier, 1990,  dove, ipotizzando un istrice gettato su un’autostrada e votato all’urto, all’incidente, ad essere letteralmente investito e che insieme preserva la sua natura poematica chiudendosi a riccio, disvela il «doppio movimento» che sta alla base delle pratiche e dei discorsi poetici. L’istrice, ovvero: “quella cosa che insieme si espone alla morte e si protegge” (p.239).

[13] Jean-Luc Nancy, All’ascolto, Cura e trad. Enrica Lisciani Petrini, Raffaello Cortina Editore, 2004. P. 23

[14] “Ma quale può essere lo spazio comune al senso e al suono? Il senso consiste in un rinvio. È persino formato da una totalità di rinvii: da un segno a qualcosa, da uno stato di cose a un valore, da un soggetto a un altro soggetto o a se stesso – tutto simultaneamente. Il suono è fatto anch’esso di rinvii: si propaga nello spazio in cui risuona proprio mentre risuona, come si dice, «in me». Risuona nello spazio esterno o interno, cioè il suono propriamente si ri-emette nell’atto stesso di «suonare»  – la qual cosa è già un «risuonare», posto che questo non sia altro che rapportarsi a sé. Suonare è vibrare in sé o da sé: per il corpo sonoro non si tratta solo di emettere un suono, ma precisamente di estendersi, svolgersi e risolversi in vibrazioni che contemporaneamente lo relazionano a sé e lo mettono fuori di sé”. Ib. pp.13-14

[15] “Dopo il dono di Dio vi fu la rinascita. Dopo la pazienza / dei sensi caddero tutte le giornate. Dopo l’inchiostro / di Cina rinacque un elefante: la gioia. Dopo della gioia / scese l’inferno dopo il paradiso il lupo nella tana. Dopo / l’infinito vi fu la giostra” (PO, p.204)

[16] PO, rispettivamente: p.193 -364- 445-479-488

[17] “La lingua poetica, assai singolare, dipendente anche dalla complessa formazione giovanile in diversi paesi e in ambienti di eccezionale presenza ai problemi storici, conferisce un effetto di straniamento al testo. Presentando per primo la Rosselli, Pier Paolo Pasolini ha posto l’accento sui suoi lapsus (cioè le parole “etmisfero” e simili) come rivelatori di una tensione in cui si arriva a configurare una “poetica” fra surrealista e traumatica. Questa chiave, più d’altre possibili, ci avvia ad apprezzare il testo della Rosselli come un unicum che contribuisce a mettere in dubbio ogni valutazione già troppo assestata del corso dell’opera di poesia in tutti questi anni”.  (Francesco Carbognin, Variazioni belliche, in OP pp. 1269-1270)

[18] “Contro il terrore di ogni adolescenza il mi corpo si levava / gridando! evviva la libertà! Contro del terrore del corpo / adolescente si levava il grido unanime abbasso la libertà” (PO, p.300)

[19] “Altra tipica strategia che organizza l’arte compositiva rosselliana è rappresentata dal concatenarsi di un pensiero con l’altro tramite il procedimento dell’anadiplosi, come in “Le / mie condizioni sono di naufragare! Nel naufragio […]”, o in “il solleone era il mio desiderio. / Il mio pio desiderio […]”. (AB, p.63). Al di là della semplice (si fa per dire) paronomasia e dell’anadiplosi, occorre almeno evidenziare la forte presenza di altre figure retoriche come l’epanalessi, il climax e l’anafora, che provengono anche da una tradizione orale e che sono tutte procedure rafforzative volte ad accrescere l’intensità e l’incisività del testo. Giusto per ribadire – qualora ce ne fosse bisogno – il carattere persuasivo della poetica rosselliana.

[20] PO, p.228

[21] AB, p.45

[22] “Perché morendo ci fai venir a festa? Semmai / era l’altro lato che andava premiato / e tu non rifiutasti quel cibo acerbo / vinaigre di festa e botte sulle spalle // pacchie e grandiose costruzioni per la / mente intorpidita: i cinque sensi hanno // dunque così poco conto o peso che tu // vaneggi su croce elegante e di legno? // Se di legno marcisci non lamentare quel / tuo dolore alle spalle: esse fanno sì / che tu operoso insoddisfatto però rimi / come se fosse prima: e inoltre lezioni // dai del tuo operato costosissimo, nel / vaneggiare di cose insapori e digerite // così come la finalità di tutte le cose / così come il conto festoso e a rima quando // ti precipiti al balcone, dal balcone / per vederti camminare” (PO, p.614)

[23] Cfr. ET, dove tra le altre cose si evidenziano parallelismi e parentele con varie figure al femminile, quali Ifigenia, Elettra, Antigone, Cassandra, ecc. Credo sia necessario citare almeno due passaggi che sintetizzano le tematiche centrali del raffronto: “Esse sono tuttavia, secondo la tradizione maschile che le ha create, anche eroine «virili», che trasformano la propria femminile passività in atto di ribellione e di violenza, il proprio dolore in sfida, il proprio lutto in eccesso, e il proprio lamento in accusa” (pp.11-12); “Per Amelia Rosselli […] l’effetto di autoriconoscimento diretto e di adattamento alle proprie «vicende di interno sviluppo» di figure come Elettra e Antigone è evidente: esse sono per eccellenza le figure del lutto alle quali si riconduce il costrutto di figlia-in-lutto del Soggetto, il suo incessante dialogo con i Morti, e il pianto «in anticipo» sulla propria vita perduta” (p.12)

[24] “[…] Trovate i gesti mostruosi di Ortensia: / la sua solitudine è popolata di spettri, e gli / spettri la popolano di solitudine. E il suo amore / rumina e non può uscire dalla casa. E la sua / luce vibra pertanto fra le mure, con la luce, / con gli spettri, con l’amore che non esce di / casa” […] Cercate Ortensia: cercate / la sua vibrante umiltà che non si sa dar pace, / e che non trova l’addio a nessuno, e che dice / addio sempre e a nessuno […]” (PO, p.152). Ho evidenziato in grassetto il doppio addio di questo passaggio perché la Rosselli celebra l’addio a se stessa riflettendosi  in Ortensia che ripete, “sempre”, il suo addio, che conferisce ritmo al suo addio senza indirizzarlo a nessuno.

[25] Cfr. ET, pp. 69-71

[26] “[…] Dio ha creato un nuovo / ordine, per cui i Santi posson dire spacconate, / reggendo in mano una fiaccola fumosa di snobismo / che li caccia dritti / in Paradiso”. (Amelia Rosselli, October Elisabethans, Cura e trad. Emmanuela Tandello, S. Marco dei Giustiniani, 2015, p.47)

[27] Si vedano, a tal proposito, le frequenti trasformazioni  di genere che all’interno della stessa proposizione o dello stesso contesto consentono all’autrice di passare, ad esempio, da un incipit al maschile alla sua prosecuzione al femminile, creando un effetto straniante ma anche emblematico, quasi come se volesse unificare i due generi e rivendicare una sorta di uguaglianza.

[28] ET, p. 13

[29] A tal proposito sarebbe opportuno confrontarsi con Antonio Loreto, LOR, in particolare da p. 180 a p.198, dove l’autore disvela le corrispondenze e i meccanismi che legano Amelia Rosselli all’universo shakespeareano.

[30] PO, rispettivamente: p.395 – 466 – 615

 

*

 

Indice delle abbreviazioni

 

 

PO, Le poesie, Garzanti, 1997

OP, L’Opera Poetica, Mondadori, 2012

OE, October Elisabethans, San Marco dei Giustiniani, 2015

SP, Una scrittura plurale. Saggi e interventi critici, Interlinea, 2004

LP, Lettere a Pasolini, San Marco dei Giustiniani, 2008

CI, È vostra la vita che ho perso. Conversazioni e interviste, Le Lettere, 2010

TR, Trasparenze, N°17-19, numero monografico dedicato ad Amelia Rosselli, San Marco dei Giustiniani, 2003

AB, Alessandro Baldacci, Amelia Rosselli, Laterza, 2007

FVC, La furia dei venti contrari. Variazioni Amelia Rosselli, Le Lettere, 2007

ET, Emmanuela Tandello, Amelia Rosselli. La fanciulla e l’infinito, Donzelli, 2007

FC, Francesco Carbognin, Le armoniose dissonanze. Spazio metrico e intertestualità nella poesia di Amelia Rosselli, Gedit, 2008

LB, Laura Barile legge Amelia Rosselli, Nottetempo, 2014

LOR, Antonio Loreto, I santi padri di Amelia Rosselli. “Variazioni belliche” e l’avanguardia,

Arcipelago, 2014

 

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AA.VV.

 

Il colpo di coda

Amelia Rosselli e la poetica del lutto

 

a cura di Enzo Campi

 

contributi critici

 

Daniele Barbieri, Francesco Carbognin, Biagio Cepollaro

Antonella Pierangeli, Salvatore Ritrovato

Marco Adorno Rossi, Enzo Campi

 

contributi creativi

 

Antonio Loreto, Silvia Molesini, Renata Morresi

Marina Pizzi, Maria Pia Quintavalla, Maria Luisa Vezzali

 

con due lettere di

 

Tiziana Cera Rosco , Plinio Perilli

 

*

 

Per acquistare il volume

 

https://www.ibs.it/colpo-di-coda-amelia-rosselli-libro-enzo-campi/e/9788898243365

 

 

 

 

Il volume contiene inoltre i testi dei vincitori e dei finalisti dei Concorsi Letterari banditi dal Festival Bologna in Lettere in occasione della

IV Edizione dedicata ad Amelia Rosselli

 

Anna Bertini, Roberta Caiffa, Rodolfo Cernilogar

Lella De Marchi, Fernando Della Posta, Alessandro Silva

Giulietta Vincitorio, Valerio Scrima, Carlo Maria Genovese

 

 

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Premio Bologna in Lettere per poesia edita e inedita – V Edizione – 2019 – Il Bando

13 giovedì Set 2018

Posted by enzocampi61 in Bologna in lettere, Festival di letteratura contemporanea, poesia, Uncategorized

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PREMIO BOLOGNA IN LETTERE
PER OPERE EDITE E INEDITE DI POESIA
QUINTA EDIZIONE – 2019

Bando pubblico

In occasione della VII edizione del Festival di Letteratura Contemporanea

Bologna in Lettere

il Comitato Promotore
in collaborazione con Marco Saya Edizioni, Millenium Gallery
rende pubblico il bando della V edizione del

“Premio Bologna in Lettere” per Poesia Contemporanea edita e inedita

*

Il Premio è aperto a tutti e si intende attivo a partire dal 08/09/2018.
La scadenza per l’invio degli elaborati è fissata al 15/01/2019.
Al fine di agevolare i lavori delle giurie e per non causare eventuali disguidi si raccomanda agli autori di non concentrare l’invio degli elaborati negli ultimi giorni disponibili.

Le valutazioni dei testi inediti avvengono in forma anonima.
I giudizi delle giurie sono insindacabili e inappellabili.

 

 

NOTA BENE

 

  • Tutte le email con richieste d’iscrizione per poter essere accettate dovranno contenere la seguente dichiarazione:

 

L’autore, con la presente dichiara di aver preso visione e di approvare in tutti i suoi punti il bando del concorso e le modalità di partecipazione. Nel caso di partecipazione alle Sezioni B e C, dichiara inoltre che l’opera è inedita (viene considerata inedita un’opera non pubblicata in forma cartacea). L’opera può essere presentata contemporaneamente ad altri concorsi, ma nell’eventualità di altri premi e riconoscimenti, non può essere pubblicata (né in volume monografico, né in antologie) fino alla comunicazione ufficiale degli esiti del Concorso (per la Sezione B, che prevede come premio la pubblicazione, l’opera non può essere pubblicata, nemmeno in parte, pena l’esclusione). L’autore garantisce, sotto la propria responsabilità, la liceità dei testi dichiarando che l’opera è di sua esclusiva creazione e non lede diritti d’autore altrui, sollevando l’organizzazione del Concorso da qualsiasi responsabilità. L’autore consente l’autorizzazione al trattamento dei propri dati personali (D.L. N°196/2003). Il trattamento dei dati è comunque relativo al solo Premio e ai comunicati informativi sulle attività culturali e artistiche del Festival.

 

  • Per partecipazioni multiple (a più sezioni) è obbligatorio inviare una email per ogni sezione a cui si intende partecipare.

 

SEZIONI IN CONCORSO

Il Premio è diviso in 5 sezioni

Sezione A – Opere edite
Sezione B – Raccolte inedite
Sezione C – Poesie singole inedite
Sezione D – Poesia orale
Sezione E – Poesia visiva & Asemic Writing

 

ELABORATI AMMESSI

 

SEZIONE A (Opere edite)

Poemi, poemetti, sillogi, raccolte di poesia editi dal 2014 al 2018. Sono ammessi testi in altre lingue (o in dialetto) purché corredati di traduzione in italiano.

SEZIONE B (Raccolte inedite)

Poemi, poemetti, sillogi, raccolte di poesia inediti. Sono ammessi testi in altre lingue (o in dialetto) purché corredati di traduzione in italiano.

SEZIONE C (Poesie singole inedite)

Da un minimo di 1 a un massimo di 3 poesie inedite. Sono ammessi testi in altre lingue (o in dialetto) purché corredati di traduzione in italiano.

SEZIONE D (Poesia orale)

Un file audio, in formato Mp3, della durata massima di 3 minuti. Sono ammessi pezzi di sola voce, privi di accompagnamenti musicali e/o rumoristi.

SEZIONE E (Poesia Visiva & Asemic Writing)

Da 1 a 3 opere, in formato JPG, ad alta risoluzione.

 

CONDIZIONI

 

SEZIONE A (Opere edite)

Ad ogni autore e/o editore vengono richiesti un file in formato word o in formato pdf e 1 copia cartacea dell’opera.

 

SEZIONE B (Raccolte inedite)

Ad ogni autore viene richiesto un unico file anonimo in formato word o in formato pdf. I testi dovranno essere inediti. Per inediti si intende mai pubblicati in forma cartacea. Testi apparsi solo in rete sono da considerarsi inediti. Limite minimo 30 pagine – Limite massimo 50/60 pagine.

 

SEZIONE C (Poesie singole inedite)

Ad ogni autore viene richiesto un unico file anonimo in formato word o in formato pdf. I testi dovranno essere inediti. Per inediti si intende mai pubblicati in forma cartacea. Testi apparsi solo in rete sono da considerarsi inediti. Limite massimo N° 3 poesie singole. Lunghezza massima consentita 50 versi (per ogni singola poesia).

 

SEZIONE D (Poesia orale)

Ad ogni autore viene richiesto un unico file audio in formato Mp3. Il testo può essere sia edito che inedito. Limite massimo di durata 3 minuti.

 

SEZIONE E (Poesia Visiva & Asemic Writing)

Ad ogni autore viene richiesto un file formato JPG in alta risoluzione per ognuna delle opere inviate.

 

 

MODALITÀ DI INVIO
(per partecipazioni multiple è obbligatorio inviare una email per ogni sezione a cui si intende partecipare)

 

SEZIONE A (Opere edite)

(doppio invio sia telematico che cartaceo)

INVIO TELEMATICO

Formato elettronico come allegato pdf o word all’indirizzo concorsi@bolognainlettere.it con oggetto “Premio Bologna in Lettere – sezione A”. L’elaborato dovrà essere inviato entro il 15/01/2019. Allo scopo di agevolare le procedure di registrazione è obbligatorio allegare copia della ricevuta del versamento. Il corpo della email dovrà comunque contenere nome, cognome, data e luogo di nascita, indirizzo di residenza, recapito telefonico, titolo dell’opera e dichiarazione di accettazione delle norme.

INVIO CARTACEO

N° 1 copia dell’opera da inviare, per posta ordinaria (posta 4 pro o piego di libri; non effettuare spedizioni a mezzo raccomandata), a Comitato Bologna in Lettere C/O, Enzo Campi, Centro Postale Operativo, Sezione Videocodifica, Via Piccard 14, 42124 Reggio Emilia

 

SEZIONE B (Raccolte inedite)

INVIO TELEMATICO

Formato elettronico come allegato word o pdf all’indirizzo concorsi@bolognainlettere.it con oggetto “Premio Bologna in Lettere – sezione B”. Gli elaborati dovranno essere inviati, in un unico file anonimo entro il 15/01/2019. Allo scopo di agevolare le procedure di registrazione è obbligatorio allegare copia della ricevuta del versamento. Il corpo della email dovrà comunque contenere nome, cognome, data e luogo di nascita, indirizzo di residenza, recapito telefonico, titolo dell’opera e dichiarazione di accettazione delle norme.

SEZIONE C (Poesie singole inedite)

INVIO TELEMATICO

Formato elettronico come allegato word o pdf all’indirizzo concorsi@bolognainlettere.it con oggetto “Premio Bologna in Lettere – sezione C”. Gli elaborati dovranno essere spediti, in un unico file anonimo, entro il 15/01/2019. Allo scopo di agevolare le procedure di registrazione è obbligatorio allegare copia della ricevuta del versamento. Il corpo della email dovrà comunque contenere nome, cognome, data e luogo di nascita, indirizzo di residenza, recapito telefonico, titolo dell’opera e dichiarazione di accettazione delle norme.

 

SEZIONE D (Poesia orale)

INVIO TELEMATICO

Formato elettronico come allegato Mp3 (è preferibile usare piattaforme come WeTransfer o simili) all’indirizzo poesiaorale@bolognainlettere.it con oggetto “Premio Bologna in Lettere – sezione D”. Gli elaborati dovranno essere spediti entro il 15/01/2019. Allo scopo di agevolare le procedure di registrazione è obbligatorio allegare copia della ricevuta del versamento. Il corpo della email dovrà comunque contenere nome, cognome, data e luogo di nascita, indirizzo di residenza, recapito telefonico, titolo dell’opera e dichiarazione di accettazione delle norme.

 

SEZIONE E (Poesia visiva & Asemic writing)

Formato elettronico come allegato Jpg ad alta qualità all’indirizzo poesiavisiva@bolognainlettere.it con oggetto “Premio Bologna in Lettere – sezione E”. Gli elaborati dovranno essere spediti entro il 15/01/2019. Allo scopo di agevolare le procedure di registrazione è obbligatorio allegare copia della ricevuta del versamento. Il corpo della email dovrà comunque contenere nome, cognome, data e luogo di nascita, indirizzo di residenza, recapito telefonico, titolo dell’opera e dichiarazione di accettazione delle norme.

 

PREMI

SEZIONE A POESIA EDITA

La giuria individuerà 6 finalisti tra i quali verrà poi decretato il vincitore. Al primo classificato verrà corrisposto un premio in denaro. Tutti gli autori finalisti riceveranno un attestato e saranno presentati criticamente nel corso della cerimonia di premiazione che avrà luogo nel mese di maggio 2019.

 

SEZIONE B RACCOLTE INEDITE

La giuria individuerà 6 finalisti tra i quali verrà poi decretato il vincitore. Al primo classificato verrà assegnata la Pubblicazione gratuita dell’opera a cura di Marco Saya Edizioni. L’opera vincitrice verrà presentata criticamente nel corso della cerimonia di premiazione. Alcuni estratti delle opere classificate dal secondo al sesto posto verranno assemblati in un e-book con scheda e presentazione critica che verrà pubblicato on line su piattaforma issuu e potrà essere scaricato gratuitamente sul sito del festival. Tutti gli autori finalisti riceveranno un attestato e saranno presentati criticamente nel corso della cerimonia di premiazione che avrà luogo nel mese di maggio 2019.

 

SEZIONE C POESIE SINGOLE INEDITE

La giuria individuerà 6 finalisti tra i quali verrà poi decretato il vincitore. Al primo classificato verrà corrisposto un premio in denaro. Gli autori delle opere classificate dal secondo al sesto posto riceveranno un attestato e saranno presentati criticamente nel corso della cerimonia di premiazione che avrà luogo nel mese di maggio 2019.

 

SEZIONE D POESIA ORALE

La giuria individuerà 8 finalisti che saranno invitati ad eseguire la propria poesia dal vivo nel mese di maggio 2019. Il vincitore verrà decretato nel corso dell’evento e riceverà un premio in denaro.

 

SEZIONE E POESIA VISIVA & ASEMIC WRITING

La giuria individuerà 3 vincitori, le cui opere verranno esposte in una mostra dedicatadella durata di una settimana nel corso delle manifestazioni del festival nel mese di maggio presso la Millenium Gallery in Via Riva di Reno 77/A. Inoltre le opere vincitrici verranno pubblicate sulla rivista di critica e linguaggi di ricerca Utsanga.

 

ALTRI PREMI

Per le sezioni A-B-C la giuria si riserva il diritto di conferire una serie di segnalazioni alle opere più meritevoli. Gli autori segnalati riceveranno un attestato e saranno invitati a partecipare al reading collettivo che inaugurerà la stagione di eventi successiva (settembre/ottobre 2019). Inoltre il presidente delle giurie si riserva il diritto di conferire direttamente uno o più premi speciali per ognuna delle sezioni. I vincitori dei premi speciali riceveranno un attestato e verranno presentati criticamente nel corso del reading di cui sopra.

 

QUOTE D’ISCRIZIONE

A parziale copertura delle spese di gestione il Premio prevede quote d’iscrizione così distribuite

Sezione A – Opera edita – 10 euro
Sezione B – Raccolte inedite – 15 euro
Sezione C – Poesie singole inedite – 15 euro
Sezione D – Poesia orale – 15 euro
Sezione E – Poesia visiva & Asemic writing – 15 euro

 

La partecipazione a 2 sezioni prevede una tassa d’iscrizione complessiva di 20 euro. La partecipazione a 3 sezioni prevede una tassa d’iscrizione complessiva di 30 euro. La partecipazione a 4 sezioni prevede una tassa d’iscrizione complessiva di 35 euro. La partecipazione a 5 sezioni prevede una tassa d’iscrizione di 40 euro.

Gli editori che intendono iscrivere più opere possono contattare direttamente la segreteria del Premio che illustrerà le modalità agevolate di partecipazione.

 

I versamenti sono da effettuare esclusivamente a mezzo bonifico a favore di

BOLOGNA IN LETTERE – B.I.L.

Banca: UNICREDIT SPA – BOLOGNA VIA BELLARIA
Codice Iban: IT24O0200802461000103539948
Codice BIC/SWIFT: UNCRITM1PN1

 

ESITI

Gli esiti del Premio verranno comunicati pubblicamente entro il 10/04/2018 sul sito di Bologna in Lettere, sulla pagina facebook del Festival e su vari canali telematici.

La cerimonia di premiazione avrà luogo nel mese di maggio 2019, in data da destinarsi.

 

Per info 328 194 9252 – info@bolognainlettere.it

 

Composizione delle giurie

SEZIONE A
Daniele Barbieri, Sonia Caporossi
Giusi Montali, Enea Roversi, Enzo Campi

SEZIONE B
Daniele Poletti, Andrea Donaera, Francesca Serragnoli
Marco Saya, Fabio Michieli

SEZIONE C
Francesca Del Moro, Loredana Magazzeni, Antonella Pierangeli
Maria Luisa Vezzali, Giacomo Cerrai

SEZIONE D
Lello Voce, Dome Bulfaro, Nicolas Cunial

SEZIONE E
Mariangela Guàtteri, Francesco Aprile, Daniele Poletti

 

PRESIDENTE DELLE GIURIE
Enzo Campi

 

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Premio Bologna in Lettere – IV Edizione – Note critiche Sezione C – Poesie singole inedite

14 lunedì Mag 2018

Posted by enzocampi61 in Bologna in lettere, Uncategorized

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Premio Bologna in Lettere

IV edizione

2018

 

 

SEZIONE C

Poesie singole inedite

Presidente della giuria

Enzo Campi

Giurati

Francesca Del Moro, Loredana Magazzeni, Giacomo Cerrai

Antonella Pierangeli, Maria Luisa Vezzali

FINALISTI

Elena Cattaneo, Mi culla mia madre

Fabrizio Bregoli, Alba pratalia

Mara Mattoscio, L’inascoltato, la rotaia è ciò che resta

Andrea Donaera, Il padre. Un’ustione

Elena Micheletti, Alzheimer

Alessandro Silva, Il cuore di mio figlio

PRIMO CLASSIFICATO

Andrea Donaera, Il padre. Un’ustione

 

 

 

 

 

 

ANDREA DONAERA

Il padre. Un’ustione

 

Se bisogna che la cosa si perda per essere rappresentata, “Il padre. Un’ustione” del poeta pugliese Andrea Donaera rappresenta un esatto meccanismo testuale in tre tempi per l’accerchiamento della perdita. Un meccanismo che utilizza la forma triadica non per tendere a un impossibile processo dialettico, bensì per mettere in gioco il martirio del soggetto simbolico attraverso la compilazione di un catalogo affettivo (i fumetti, i presepi, le matite, i temperini…) come regressione al profondo, complice la convocazione di tre autori esemplari della chiusura edipica: un contemporaneo esplicitato in esergo (Michele Mari, «adesso poteva tornare, e seppellirsi nel letto») e due pietre fondanti del moderno con le allusioni iniziali della «blatta sul tuo cuscino» (Kafka) e della «fontana tutta sangue» (Baudelaire). Nella prima sezione il «Grande Altro» paterno è già irrimediabilmente perduto all’esperienza e introiettato nell’immaginazione: «Ti immagino, ormai: e basta». La scrittura, per quanto franta, si trattiene all’interno della consolazione retorica, con la disseminazione di versi tradizionali, le anafore, le epifore, le ripetizioni che alludono al liturgico dell’atto di dolore («e quanto mi pento, quanto mi pento»). La seconda parte estremizza la regolarità metrica costruendosi di prevalenza sull’endecasillabo, ma tematicamente introduce i materiali sdrucciolosi dell’onirico. Qui il paesaggio si sfalda nell’acqueo («mare marcio», «meduse tremule»), ma il risultato dell’immersione in questo «bagnare incessante» è, concorde al discorso bilogico del sogno, un precipitato di polvere. Si arriva così alla terza sezione, dove è messo in scena l’agon («la lotta è… per non riconoscerti») e il destino di conflitto sbaraglia il verso per tramutarlo in un flusso continuo, o piuttosto continuamente interrotto da parentesi quadre, tonde, più che chiuse «socchiuse», virgole, il cozzo dei mai e dei sempre, tra sgretolamento e ricomposizione fino alla sospensione finale del soggetto in un’infanzia pietrificata nel desiderio («pulisci il mio mento sporco di gelato»). (Maria Luisa Vezzali)

 

 

 

ELENA CATTANEO

Mi culla mia madre

 

 

I tre testi offerti alla lettura da Elena Cattaneo ci dicono la complessità di una condizione esistenziale, quella delle donne, che non si limita a circoscrivere un orizzonte esperienziale privato ma si allarga a comprendere una più vasta umanità, fatta di solidarietà e condivisione. La carezza della madre che non riesce a toccare la pelle della figlia (Mi culla mia madre, /sono sfera rassicurante./ Non mi accarezza,/ sono fatta di idee, /ritagli di riviste./Senza ossa) diviene urticante tocco d’ortica, impossibilità di cammino sicuro (Questa donna ha mani d’ortica/ braccia imbavagliate/ piedi di sirena), ma anche riconoscimento di altri corpi, altre maternità lontane da noi eppure presenti e vive, della poesia “Antipodi”: (Ecco la mia carezza/ a dire che siamo uguali,/ madri agli antipodi,/sorelle nel cuore). Lo fa con una modalità di racconto visionaria e crudele: la visione non è affrontabile senza dolore, a molti “buca gli occhi”, diventa quell’Immemorabile dire che attiene alla perenne ricerca di sé e dunque alla poesia. Poesia che si guarda bene dallo scivolare liquido e inoffensivo del poetese, ma cerca snodi, slogature, punti di sutura che saltano per dire la complessa realtà del presente e le sue contraddizioni. (Loredana Magazzeni)

 

 

ELENA MICHELETTI

Alzheimer

 

 

Cos’è che caratterizza la poesia di Elena Micheletti? Forse una certa capacità di rappresentare che il mondo non è che una costellazione di frammenti di dolore, ciascuno dei quali ha bisogno di essere ridotto ad un lacerto comprensibile, o forse soltanto umanamente sostenibile, da  chi sia capace di volgervi uno sguardo consapevole, che va come quello di Elena dalla periferia del paesaggio al centro delle cose. Elena crede che la poesia serva anche a questo, proprio perché capace di evadere da un recinto tristemente razionale, anche quando sembra che non ci sia niente di ragionevole in certi accidenti della vita, per raggiungere una dimensione più alta, forse mitica. Ed ecco ad esempio che un fatto drammatico come una donna, forse una madre, colpita dall’ Alzhheimer, ridotta a una bambola che gioca con le bambole, viene sublimato in un delicato ritorno all’infanzia e ai suoi segni, ad una innocenza che tuttavia non può essere priva di rimpianti perché non cancella il dolore di chi scrive. La poesia di Micheletti è insomma sostenuta da una pietà naturale non priva di speranza, che non cede a nessun patetismo o a crepuscolari malinconie e che non si compiace nemmeno quando l’autrice parla di sé stessa e delle sue afflizioni, e da una notevole capacità di condensazione emotiva, che si esprime anche per mezzo di un linguaggio leggero ed essenziale. (Giacomo Cerrai)

 

 

 

 

FABRIZIO BREGOLI

Alba pratalia

 

 

La poesia di Fabrizio Bregoli, ombreggiata da un vivo senso della labilità delle cose e della loro fuggevolezza, è percorsa da un’ innata attrazione nei confronti della parola e del linguaggio, visti non più come strumento di dominio e controllo della realtà, ma come entità distruttrici che s’alimentano di finzione e di maschere in un desertico baluginare di vuoto: ”Anche il bianco sa ferire, s’annida/ un buio in quel suo lucore d’ossa.”(Alba pratalia). Disseminato di enigmi, perpetuamente alla ricerca di epifanie minime in una mancanza originaria di appartenenza, il versificare di Bregoli si distende in silenzi trattenuti, straniati da una sorta di inarticolato horror vacui che, nella biancheggiante apertura del bellissimo Alba pratalia, accompagna in dissolvenza il meccanico accanirsi della parola verso un graduale processo di dilatazione fonica. L’esigenza estetica da cui prende impulso la poesia di Fabrizio Bregoli non muove infatti dalla ricerca di una voce poetica depurata, siderale, lontana dal lessico della comunicazione quotidiana, ma dal dato sensoriale, dall’immanenza dei luoghi e dei personaggi che bussano alle porte del poetico per essere poi trasferiti sul bianco della pagina attraverso un impasto di immagini e suono: “C’è un mondo che reclama, un accadere/ indenne, laterale: il rinnovato/ corteo delle formiche, compiaciute/ della loro briciola…” (Alba pratalia).  E’ proprio l’osservazione di tutto ciò che cade nel giro dello sguardo, e che misura la finitezza della propria rovina, a rendere transitabile la parola e a far sì che si ricongiunga al proprio oggetto, attraverso una tensione lessicale che vede muoversi simultaneamente ritmo e timbro. La poesia si contrassegna infatti  per un’attenzione elettiva alla tecnica, sul filo d’una sapienza formale impercettibile, volta a costruire il verso con un’accurata opera di cesellatura, che disegna differenti piani, creando un affascinante e spericolato giuoco d’intersezioni e di rimandi, quasi che il filo del discorso si insegua e ricada continuamente su se stesso, procedendo a spirale piuttosto che in linea retta, vivisezionando il poeta stesso, in un continuo ed illuminante intersecarsi di poetica, meditazione critica ed autoriflessione. Si colgono, nei bellissimi testi qui presentati Alba pratalia,  IRINA KRATULOVA (Donor No. 34576148-2, BioTexCom* Inc. – Kiev), Pancabbestia, moduli compositivi desolatamente intessuti di una leggerezza tragica, quasi espressionista, coagulata in un roccioso realismo delle immagini che si stempera nella pur presente concretezza delle cose e nella sua aspra dissonanza: ”La dotazione è minima: un violino/ tarlato, un labrador, fornello a gas:/ numeri d’un terno mancato.” (Pancabbestia). Qui la desolazione spettrale di un viaggio al limite della sopravvivenza evoca un vitalismo macabro, dai tratti oscuri di un bagaglio coatto e difforme con cui affrontare l’esistere, manifestando montalianamente una  lontana funzione salvifica attraverso la memoria del reale “spilla da balia che raccorda/ il cielo al nulla” (Pancabbestia). L’immagine feticcio di questi testi, tutta giocata sulla connotazione di “un accadere prima che scada il tempo d’una conta” (Alba Pratalia metafora, d’altronde, dello sgranarsi del tempo come per un implodere e contrarsi di macerie e rovine) ha la consapevolezza amara e implacabile di uno stile che spazia senza sussulti dal registro alto a quello quotidiano, secondo un modus scribendi proprio di tutti i testi di Bregoli:”Qui si sconfina come a terra franca la satira di un sole, o la sua surroga” (IRINA KRATULOVA (Donor No. 34576148-2, BioTexCom* Inc. – Kiev). E’ proprio in questo spazio disumano, sapientemente contaminato di suggestioni inquietanti, sottese al tema della labilità irreversibile e tragicamente rivissuta di uomini e cose, che la poesia di Bregoli appare sempre più intessuta di echi fittissimi, che sovente gli servono per evocare scenarî di squallida e grigia quotidianità, di ascendenza eliotiana, nei quali le figure stesse della realtà, smessa ogni suggestione lirica, sono solo una pallida immagine dell’inferno terreno, la cui ambientazione è quella delle traiettorie desolate e livide di hopperiana nostalgia. Metafora e luogo elettivo d’una disperata vitalità, costituita per metà dal transitorio, dal fuggitivo e dal contingente, e per l’altra metà dall’eterno e dall’immutabile, la poesia di Bregoli lavora a strappare alle immagini del tempo la loro temporalità di eterno presente, costituendosi frammento distonico di una memoria simulacro di quell’aporia del nulla  che entra nel campo della poesia solo quando si allontana dal contingente. Passato e presente si allineano dunque in uno speciale tempo dilatato, bergsoniano, che viene a raggelarci in una modernità folgorante, costringendoci nel battito marziale di una dislocata lontananza solo apparente, come “la solitudine di tutte le porte/ dove ho costretto l’esilio dei passi.” (Antonella Pierangeli)

 

 

MARA MATTOSCIO

L’inascoltato, la rotaia è ciò che resta

 

 

I tre testi presentati da Mara Mattoscio appaiono omogenei, come tre movimenti di un unico poemetto. Ad accomunarli sul piano dello stile è l’utilizzo di un linguaggio ricercato e denso di figure del significante e del significato nonché la vivacità grafica data da versi e strofe di lunghezze e allineamenti differenti e dall’utilizzo di segni grafici quali barre oblique e trattini. Questi ultimi frammentano il discorso facendo coesistere possibili segmentazioni di lettura e suggerendo la possibilità di interpretare i versi come composti a loro volta di unità minori, sorta di sotto-versi. Sul piano tematico, la costante che lega i tre componimenti può essere individuata nella tensione verso una comunicazione che appare per molti versi frustrata. Già la parola “monologo” che dà uniformità ai titoli presuppone un unico parlante piuttosto che uno scambio, un parlante che fin dall’inizio sappiamo inascoltato. Termine, questo, a cui in realtà possiamo riconoscere una duplice valenza così come ad altre espressioni utilizzate nei testi: l’inascoltato da intendersi come sostantivo coincide con “il parlatore”, ma come aggettivo si riferisce a quell’oceano che rappresenta l’immensità dell’inesprimibile, dell’incomunicabile, potremmo dire dell’inconoscibile, che sfugge alla trasposizione verbale. L’oceano tra una conversazione e l’altra è ciò che vanifica gli sforzi del parlatore e dell’ascoltatore, già negati peraltro dalla parola “inesistente” che in posizione di quasi-anafora introduce le prime due strofe. Questa è a sua volta passibile di due interpretazioni: da un lato è ciò che non esiste e dall’altro, filosoficamente, ciò che inesiste. Viene il sospetto che sia il parlatore, che ci parla, sia l’ascoltatore deputato ad accogliere la nostra urgenza espressiva siano da individuarsi in qualche entità superiore, in qualche Dio, oppure, cosa non troppo diversa, un sé virtuale che possa “dire tutte / di luce le parole”, come recita un verso della seconda poesia. Il “dire” resta quindi un anelito, avente del resto come obiettivo l’opera, che con ironia viene catalogata nelle forme di “sovraromanzo supertrattato iperpoema” e “vita detta non detta o poco detta”. Qui si riconoscono i due stereotipati poli letterari, ovvero il tentativo di trascendere, esagerare, sublimare (sovra- super- iper-) oppure fare i conti con la vita nelle varie gradazioni con cui questa si rivela (contrapposizione che si riflette tra il sé virtuale in trionfo sulle idee e il sé di corpo trafitto dalla gente). L’ironia non manca in questi versi elaborati e si può percepire nella scelta del verbo “vociare” cui segue la serie allitterante “sillaba sibilo o silenzio”. Mentre le prime poesie si incentrano sulla dinamica del dire, l’ultimo componimento si arricchisce di elementi più concreti, dipingendo meticolosamente un contesto geografico con un procedimento a vortice che chiama e richiama in causa gli stessi elementi: il centro, i confini o margini, i monti e il mare con il porto. E i briganti, che compaiono più volte, protagonisti della storia. Il titolo ci rimanda alle cronache del brigantaggio in Abruzzo, che nella storia d’Italia ebbe spesso risvolti insurrezionali. Ma anche qui torna il tema dell’inascoltato con l’espressione “grande orecchio” già presente nella prima poesia. Un orecchio che, con una sinestesia, è definito “muto” e, ancora, ignaro. All’orecchio viene attribuito un atteggiamento proprio di un corpo intero, in cui si può riconoscere quello della vittima di un’esecuzione sommaria. Se l’orecchio lega il terzo componimento al primo, è il termine “seduta” a ricollegarsi al secondo, segnando il precipitare del ritmo nel fallimento. Nella seconda poesia, sulla sedia d’osso del “mai accadere” il tentativo di dire si smorza in un “lento, bianco, ammutolire” – si pensa allo “scendere nel gorgo muti” di pavesiana memoria – il terzo componimento si chiude con l’identificazione tra l’io e una Medusa seduta nella Storia, laddove la medusa stessa ha la duplice valenza di creatura acquatica (qui preceduta da altre specie) e di Gorgone mitologica, muta presenza passiva, che rimane in silenzio mentre si odono solo annunci di futuri immaginari gridati dai gabbiani. (Francesca Del Moro) 

 

 

 

ALESSANDRO SILVA

Il cuore di mio figlio

 

 

Una delle cifre stilistiche di Alessandro Silva sta nella capacità di ripensare e rielaborare in maniera articolata e coerente l’eredità trasmessa dalla storia, dal mito, dalle arti. Un procedimento tutt’altro che originale di per sé ma che nei versi di Silva si arricchisce sempre di particolare inventiva attingendo sovente a tradizioni poco diffuse. In questo caso il collante tra i testi presentati è dato dalla religione cristiana che, se da un lato è spogliata della sua aura di sacralità (dissacra è infatti una delle parole che aprono la prima poesia), non è tuttavia completamente ribaltata o satireggiata. Il tono liturgico è già impostato sin dal primo componimento dedicato a un’epifania mattutina, che si apre e si chiude con l’ammissione della nostra pochezza, del nostro essere biblicamente polvere. I versi di Franco Loi citati in epigrafe si fanno portavoce di questa dichiarazione di umiltà e il poeta giunge a sposarla con parole proprie alla fine, ricordando sé stesso come bambino religioso, ma meno generoso di un ateo, ovvero un “niente di memoria del Suo sangue”. Qui viene messa in dubbio la bontà della fede, una prospettiva già delineata dai versi precedenti in cui una serie di Angeli non crea bellezza ma entra in sintonia con la scompostezza del mattino, svergognato nei rumori e nella materialità del dormiveglia, nel disordine del letto. Il volo di Angeli che sputano calce e poi si mutano in pietre castigatrici non è che uno dei molteplici riferimenti biblici in questa sorta di anti-estasi mattutina, dalla scala di Giacobbe alla risurrezione di Lazzaro o di Cristo, dagli agnelli che rimandano al sacrificio di Isacco, fino agli episodi di Sodoma e Gomorra. Motivi religiosi sono presenti anche nella seconda poesia in cui l’essere umano si sposta dal centro dell’universo per confrontarsi con le altre creature, in questo caso i cani, esseri dotati di arcane capacità percettive, dato che “stanno coi nomi dei morti e capiscono il modo in cui si consuma lo spazio bianco delle cose”. Ma i cani hanno un’altra qualità che li rende superiori agli esseri umani: la fiducia. Sta a noi apprenderla da loro, mentre restiamo invischiati nell’eterna lotta tra bene e male, uno scontro che da spirituale diviene fisico, vedendo come antagonisti i demoni malati che ci cuciamo in corpo e il cuore di spine in fiamme di Gesù frenato nella nostra gola. Il cuore torna nel titolo dell’ultima poesia, suggerendo un’identificazione tra “mio figlio” e il figlio di Dio. Nell’immagine del corpo sovrastante un abisso, di cui si colgono solo la schiena e le braccia, sembrano profilarsi la forma della croce e la statua del Cristo Redentore di Rio de Janeiro. Questa figura sospesa sul vuoto, in cui Dio e l’uomo vengono infine a coincidere, si staglia al centro dell’ultima poesia che insegue il linguaggio della terza cantica dantesca (i tre componimenti potrebbero in effetti riprodurre la scansione dell’oltremondo dantesco), nel tentativo di dire l’indicibile paradisiaco attraverso immagini di grande bellezza: “la mira perfetta del cielo brilla”; “il precipizio di luceargento”, “la cima del fiore che gela orbite / in moto di particelle antiche”. Ma in questi versi pieni di luce, non manca la consapevolezza della nostra miseria. Sotto un cielo post-apocalisse il cui splendore è sporcato da piume lacere e insetti senz’ali, l’uomo sale al fiore sublime ma resta piccola creatura, insignificante, un seme minuscolo e sfibrato che tuttavia si richiama al Seme divino citato nella prima poesia e ha in sé la facoltà di generare.  (Francesca Del Moro) 

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Eventi ed eventuali

18 martedì Ott 2016

Posted by enzocampi61 in Bologna in lettere, Coabitazioni, Enzo Campi, Eventi, Letteratura Necessaria, Poetiche del pensiero, Ricognizioni, Uncategorized

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Biagio Cepollaro, Bologna in lettere, Critica, Enzo Campi, Eventi, Festival, Filosofia, Focus, incontri, Letteratura, letture, Milano, Performance, Poesia, Reading, riflessioni, testi, Tu se sai dire dillo, video

Pioggia di eventi a base letteraria dal 19 al 23 ottobre tra Bologna e Milano

 

 

Mercoledì 19 Ottobre 2016, alla Libreria IBS, Piazza dei Martiri 3, Bologna, ore 18.00, presentazione dell’antologia “Della propria voce”, Gruppo 98 poesia, Qudulibri, a cura di Leila Falà, con Donata Meneghelli, Daniele Barbieri, Sergio Rotino, Elia Cimatti, Leila Falà, Zara Finzi, Serenella Gatti Linares, Loredana Magazzeni, Paola Tosi, Alessandra Vignoli, Vannia Virgili, Anna Zoli, Giovanna Zunica.

 

 

Per “IgiovedìdiVersi”, la rassegna di incontri curati da Versante Ripido, Giovedì 20 ottobre 2016, ore 20.30 – Vamolà, Via delle Moline 3/A, Bologna con Simonetta Sambiase, Giorgia Monti, Serena Piccoli, Clery Celeste e Serenella Gatti Linares, Daniela Fogli.

 

 

Per la rassegna “Donne in poesia / Incontri con le poetesse italiane”, a cura di Maria Pia Quintavalla, Giovedì 20 Ottobre 2016, ore 21.00, Casa della Cultura, Via Borgogna 3, Milano, con Bianca Tarozzi, Anna Toscano, Francesca Del Moro, Franca Grisoni, Elisabetta De Stasio

 

 

Venerdì 21 Ottobre alle ore 18:00, IBS bookshop, Piazza dei Martiri 3, Bologna, presentazione del libro “Lettere A D.” di Alessandro Assiri, a cura di Sergio Rotino, con interventi di Pier Damiano Ori

 

Venerdì 21 ottobre, ore 20.15,  presso il Centro Socio Ricreativo Culturale Stella (già Trento Trieste), in via Savioli 3, Bologna, “Aperitivo a tema: Centrale di Transito”, dall’omonima antologia sulla poesia bolognese, edito da Perrone, con Alessandro Brusa, Valentina Pinza, Francesca Del Moro, Rodolfo Cernilogar, Eva Laudace

 

Sabato 22 ottobre, dalle 11 del mattino, presso la sala-teatro del Circolo CostArena, Via Azzo Gardino 48, Bologna, “Riassunto di Ottobre”, un incontro sulla scrittura di ricerca, a cura di Sergio Rotino, con Leonardo Canella, Alessandra Carnaroli, Mario Corticelli, Marco Giovenale, Mariangela Guatteri, Simona Menicocci, Lorenzo Mari, Giusi Montali, Luca Rizzatello, Fabio Teti, Michele Zaffarano.

 

 

Venerdì 21, Sabato 22, Domenica 23 Ottobre 2016, presso lo Spazio Bioforme, Via Aosta 2, Milano, V° Edizione del Festival “Tu se sai dire dillo”, curato da Biagio Cepollaro e dedicato alla memoria di Giuliano Mesa. Ricco e variegato parterre di ospiti: Bernardo De Luca, Viola Amarelli, Biagio Cepollaro, Antonio Devicienti, Tommaso Di Dio, Giusi Drago, Francesco Filia, Vincenzo Frungillo, Carmen Gallo, Nino Iacovella, Eugenio Lucrezi, Giorgio Mascitelli, Luigi Metropoli, Gianni Montieri, Paola Nasti, Angelo Petrella, Christian Tito, Ferdinando Tricarico, Daniele Ventre, Giovanna Marmo, Antonio Padua, Mariano Baino, Marco Berisso, Guido Caserza, Marcello Frixione, Paolo Gentiluomo, Costanzo Ioni, Nicola Sisci, Fabrizio Bianchi, Antonio Sparzani, Roberto R. Corsi, Guido Cupani. Giusi Drago, Amara Miao Rossi, Pino Tripodi, Francesco Forlani, Davide Racca,  Martina Campi, Francesca Del Moro, Mario Sboarina, Alessandro Brusa, Sonia Lambertini, Enea Roversi. Nella giornata conclusiva alle 20.30, “Erba nera che cresci segno nero tu vivi”, una serata dedicata ad Amelia Rosselli e al Festival Bologna in Lettere: un libro da veicolare, “Il colpo di coda. Amelia Rosselli e la poetica del lutto” (Marco Saya Edizioni), quattro chiacchiere sullo spirito che contraddistingue il  Festival, la proiezione di due video e un recital multimediale, a cura di Enzo Campi.

Il programma completo di tutta la rassegna è consultabile qui

http://www.poesia2punto0.com/2016/10/02/tu-sai-dire-dillo-v-edizione/

 

alejandra-pizarnik

 

 

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Tu se sai dire dillo – IV Edizione

27 giovedì Ago 2015

Posted by enzocampi61 in Bologna in lettere, Coabitazioni, critica letteraria, Enzo Campi, Eventi, Festival di letteratura contemporanea, Letteratura contemporanea, Letteratura Necessaria, poesia

≈ 2 commenti

Tag

agit-prop-poetry, Alessandro Brusa, Andrea Inglese, Antonio Devicienti, Biagio Cepollaro, Bologna in lettere, Christian Tito, coabitazioni, critica letteraria, Enea Roversi, Enzo Campi, Eugenio Gazzola, Eventi, Festival di Letteratura, Festival di Poesia, Filosofia, Francesca Del Moro, Francesco Forlani, Francesco Tomada, Gianni Montieri, Gianni Sassi, Giorgio Mascitelli, Giovanni Cospito, Giulia Niccolai, Giuliano Mesa, Giusi Drago, Italo Testa, Jacopo Galimberti, Jacopo Ninni, L'Arcolaio editore, Letteratura contemporanea, Lucio Fontana, Luigi Di Ruscio, Mario Giusti, Mario Sboarina, Martina Campi, Massimiliano Damaggio, Milano Poesia, Milanopoesia, Nadia Augustoni, Nino Iacovella, Poesia, Poesia concreta, Poesiadafare, Poetiche del pensiero, Recital, Ricognizioni artistiche, Rita Galbucci, Segnali, Segni, Sistemi d'attrazione, Sonia Lambertini, Spazio Ostrakon, Tu se sai dire dillo, vincenzo frungillo, William Xerra

cop

 

TU SE SAI DIRE DILLO

Quarta edizione

 

17-18-19 settembre 2015

Galleria Ostrakon

via Pastrengo 15, Milano

 

La rassegna Tu se sai dire dillo, ideata da Biagio Cepollaro e giunta alla quarta edizione, è dedicata alla memoria del poeta Giuliano  Mesa, scomparso nel 2011.

A leggere le sue poesie, oltre a Biagio Cepollaro, vi sarà anche Andrea Inglese.  Quest’anno i temi saranno: l’esperienza di Milanopoesia(1983-1992) raccontata da Eugenio Gazzola e da alcuni protagonisti come l’artista William Xerra, la poetessa Giulia Niccolai e dall’organizzatore Mario Giusti; il festival dei nostri anni  Bologna In Lettere a cura di Enzo Campi ; l’Artventure parigina di Lucio Fontanaricostruita da Jacopo Galimberti, l’opera elettronica di Giovanni Cospito eseguita al Teatro Verdi, situato proprio di fronte allo Spazio Ostrakon.

E ancora avranno spazi dedicati: la figura unica diventata leggenda del poeta-operaio Luigi Di Ruscio tratteggiata da Christian Tito; la nascita del blog  Perigeion e i poeti Massimiliano Damaggio, Antonio Devicienti, Nino Iacovella, Gianni Montieri , presentati da Francesco Tomada, e infine, la poesia di Nadia Augustoni, Giusi Drago, Francesco Forlani, Vincenzo Frungillo, Italo Testa e la prosa di Giorgio Mascitelli.

*

Programma completo

17 Settembre, Giovedì

 

ore 18.00

 Biagio Cepollaro e Andrea Inglese leggono Giuliano Mesa

ore 18.30

 L’artventure parigina di Lucio Fontana a cura di Jacopo Galimberti

ore 19.30

Le poesie di:

Nadia Augustoni

Giusi Drago

Francesco Forlani

Vincenzo Frungillo

Italo Testa

 

I racconti di :

Giorgio Mascitelli

ore 20.30

Intervallo

ore 21.00  Il pubblico è invitato a spostarsi al Teatro Verdi, di fronte allo Spazio Ostrakon

Opera elettronica di Giovanni Cospito su testi di Biagio Cepollaro

 

*

18 Settembre, Venerdì

ore 18.00

Gli anni di Milanopoesia

a cura di Eugenio Gazzola

 

Saranno presenti:William Xerra, Giulia Niccolai, Mario Giusti

 

ore 19.30

Intervallo

ore 20.00

 

Lettere dal mondo offeso: per Luigi Di Ruscio

a cura di Christian Tito

 

Letture dal romanzo epistolare

Proiezione video

Testimonianze

 *

19 Settembre, Sabato

ore 18.00

Perigeion e i poeti

a cura di Francesco Tomada

 

Massimiliano Damaggio

Antonio Devicienti

Nino Iacovella

Gianni Montieri

Francesco Tomada

 

ore 19.30

Intervallo

 

ore 20.00

Il presente di Bologna in Lettere

a cura di Enzo Campi

“Agit-prop-poetry”, un intervento di Enzo Campi

“Sistemi d’Attrazione”, proiezione di un video montato con i materiali della terza edizione del Festival Bologna in Lettere

“Sì, si può”, recital multimediale con Alessandro Brusa, Martina Campi, Francesca Del Moro, Rita Galbucci, Enea Roversi, Sonia Lambertini, Jacopo Ninni, Mario Sboarina, Enzo Campi

 

 

 

L’immagine in copertina è di Biagio Cepollaro, Predella-Dittico, dipinto su due pannelli. Tecnica mista su mdf, cm 80 x 50 complessivi,2009.Coll privata, Milano

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Microfono aperto per sostenere Bologna in Lettere

14 sabato Mar 2015

Posted by enzocampi61 in Bologna in lettere, Coabitazioni, Eventi

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Tag

Bologna, Bologna in lettere, Cortometraggi, critica letteraria, Elio Pagliarani, Enzo Campi, Festival multidisciplinare di Letteratura Contemporanea, Filosofia, Focus, Letteratura, Letteratura Necessaria, narrazioni, Patrizia Vicinelli, Performance, Pier Paolo Pasolini, Poesia, Poesia ad Alta Voce, Poesia Visiva, Prosa, Reading, Recital, Saggistica, Scritture, Scritture del nuovo millennio, Sistemi d'attrazione, Spazio 100300 cafè, Video-Arte

foto evento 3

 

Microfono aperto per sostenere BIL.
Reading di auto-finanziamento per “Bologna in lettere”, festival multidisciplinare di letteratura contemporanea (Bologna, maggio 2015).

Nel quadro delle iniziative volte a finanziare il festival, lo staff di Bologna in Lettere organizza un open mic a offerta libera per la serata di sabato 14 marzo, a partire dalle ore 19 presso lo spazio 100300 (via Centotrecento 1a) a Bologna.

I partecipanti all’iniziativa avranno a disposizione il microfono per circa sette minuti e, se lo desiderano, l’accompagnamento di Mario Sboarina alla tastiera, per leggere le proprie opere o testi altrui.

In occasione dell’evento sarà anche possibile acquistare alcuni libri messi a disposizione dagli autori di Bologna in Lettere e il cui ricavato sarà utilizzato per finanziare il festival.

Bologna in Lettere è un festival multidisciplinare di letteratura contemporanea la cui terza edizione avrà luogo il prossimo maggio, articolandosi in tre fine settimana (15/16; 22/23; 29/30).

Il festival, che quest’anno prevede una maratona poetica in vari luoghi e approfondimenti su Pasolini, Pagliarani e Vicinelli, si è sempre caratterizzato per l’interesse dedicato alla poesia, per l’apertura a voci molteplici provenienti da tutta Italia e non solo, e per la varietà dei linguaggi e delle contaminazioni con altre arti. Riteniamo si tratti di un appuntamento importante per la nostra città e un’occasione preziosa per diffondere la parola poetica.

Per ulteriori informazioni sul festival

https://boinlettere.wordpress.com/
https://www.facebook.com/BolognaInLettere
https://www.facebook.com/groups/973708872640682/

 

base programma pagina fb

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Aspettando Bologna in Lettere – Campi Magnetici

06 giovedì Nov 2014

Posted by enzocampi61 in Arte contemporanea, Bologna in lettere, Coabitazioni, critica letteraria, Enzo Campi, Eventi, Festival di letteratura contemporanea, Letteratura contemporanea, Letteratura Necessaria, poesia, Poesia concreta, Poetiche del pensiero, Saggistica

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Bologna in lettere, buonesiepi libri, Campi Magnetici, Cotone, Dot.com Press edizioni, Eventi, Festival di letteratura contemporanea, Francesca Del Moro, Giacomo Previ, Giovanni Campi, Il Verbaio, Intermission, L'irragionevole prova del nove, Le Voci della Luna edizioni, Letteratura contemporanea, Letteratura Necessaria, Mariangela Guàtteri, Mario Sboarina, Martina Campi, Nevio Gambula, Orsola Puecher, Poesia, Poesia concreta, Reading, Silvia Molesini, Simpliciter & Complicatibus, Sistemi d'attrazione, Smasher edizioni, Teatro del Navile, Valentina Gaglione, Vincenzo Bagnoli

loc 1 cm ff

Venerdì 14 Novembre ore 21
Teatro del Navile
Via Marescalchi 2/b
BOLOGNA

ASPETTANDO BOLOGNA IN LETTERE
(primo step)

CAMPI MAGNETICI

*

Giovanni Campi 
L’irragionevole prova del nove 
Smasher edizioni

Martina Campi
Cotone
buonesiepi libri

Enzo Campi 
Il Verbaio – Dettati per (e)stasi a delinquere
Dot.Com Press, Le Voci della Luna

Relatori Vincenzo Bagnoli, Francesca Del Moro

Traduzioni in francese
di estratti da Il Verbaio a cura di Silvia Molesini

Proiezione dei video

Cotone
Testi Martina Campi,
Scenario, camera, montaggio, regia Enzo Campi
con Valentina Gaglione, Francesca Del Moro 
Mario Sboarina, Martina Campi
Musiche Mario Sboarina

Intermission
Testi Enzo Campi 
Voce Mariangela Guatteri
Musiche Giacomo Previ

Simpliciter & Complicatibus
Testi Giovanni Campi 
Voce Nevio Gambula 
Animazioni Orsola Puecher

*

L’editoriale di presentazione della nuova edizione di Bologna in Lettere

qui

http://boinlettere.wordpress.com/2014/11/03/bologna-in-lettere-2015-sistemi-dattrazione/

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2 anni 2 – Letteratura Necessaria – Azione 44 – Bologna

12 martedì Nov 2013

Posted by enzocampi61 in Babel, Bologna in lettere, Coabitazioni, Emilio Villa, Enzo Campi, Esistenze e Resistenze, Eventi, Filosofia, Il Baratto, Letteratura contemporanea, Letteratura Necessaria, Parabol(ich)e dell'ultimo giorno - Per Emilio Villa, poesia, Poesia concreta, Poetiche del pensiero

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Tag

Aggregazione letteraria, Bologna, Letteratura contemporanea, Letteratura Necessaria, Oralità e poesia, Poesia concreta, Reading, Spazio 100300 cafè

base loc festa ln

Sono passati  due anni da quando il 30 Ottobre del 2011, all’insegna di due parole-chiave: condivisione e aggregazione, e sotto l’egida del “fare”, veniva realizzata l’Azione N° 0.

Oggi, in ricchezza e povertà, salute e malattia, al di là dei singoli risultati in termini di quantità, qualità e rispondenza di pubblico, siamo arrivati all’Azione 44.

Nel corso del mese di  dicembre verranno realizzate altre 4 Azioni e chiuderemo l’anno con 48 eventi all’attivo.

Nel corso di questi 2 anni, tra reading, recital, performance, presentazioni di libri singoli e antologie, eventi multidisciplinari, serate tematiche, ecc., abbiamo sperimentato diverse modalità di veicolazione della “cosa” letteraria (tra le quali mi piacerebbe ricordare almeno il “Baratto” la “Critica differita” e “Babel”) e creato alcune estensioni del progetto come il Festival “Bologna in lettere” (una maratona non-stop che nell’arco di una sola giornata si è concretizzata in 21 diversi eventi, con la partecipazione di più di 150 autori).

Ultimo nato, il progetto “Parabol(ich)e dell’ultimo giorno – Per Emilio Villa” che si è sviluppato prima con alcuni step di avvicinamento alla complessa e controversa produzione letteraria, critica e artistica di Emilio Villa, e poi – con l’uscita dell’antologia – attraverso eventi mirati, pensati e costruiti a misura che, dopo le prime uscite pubbliche (Castelfranco Emilia, Milano, Torino, Bologna, Verona), si svilupperanno nel corso del mese di dicembre (Monza, Milano, Roma, Napoli) e continueranno durante tutto l’arco del 2014, alternandosi, come è nostro costume e stile, a reading collettivi dettati da altre tematiche, linguaggi e autorialità.

 

*

 

Ci è sembrato quindi “necessario” pensare e realizzare una sorta di serata celebrativa, una festa letteraria (ma non solo) dove far confluire tutte le idee e le modalità finora espresse, coinvolgendo un nutrito numero di autori.

 

*

Letteratura Necessaria

Azione 44

 

Festa-Reading per i 2 anni di attività di Letteratura Necessaria 

 

Sabato 30 Novembre Dalle 18.00 alle 23.00

Spazio 100300 cafè 

Via Centotrecento 1/a  BOLOGNA

 

 

(l’elenco dei partecipanti al reading è in continuo aggiornamento

e sarà reso pubblico la settimana dell’evento)

 

 

Per l’occasione verrà stampato un volumetto antologico

con contributi di

 

Nadia Agustoni, Marina Pizzi, Carmine De Falco, Gianluca Chierici, Loredana Magazzeni, Jacopo Ninni, Martina Campi, Chiara Baldini, Paola Lovisolo, Andrea Leonessa, Giorgia Romagnoli, Francesco Marotta, Silvia Rosa, Enrico De Lea, Ivan Fassio, Anonimo del prossimo secolo, Luca Ariano, Silvia Secco, Silvia Molesini, Alessandro Brusa, Giorgio Bonacini, Davide Racca, Alberto Mori, Marco Palasciano, Luciano Mazziotta, Alessandro Assiri, Giovanni Campi, Gabriele Xella, Erica Donzella, Sonia Lambertini, Dome Bulfaro, Valerio Grutt, Manuel Cohen, Rita Pacilio, Giuseppe Nibali, Daniele Barbieri, Gerardo De Stefano, Vincenzo Bagnoli, Francesca Del Moro, Lella De Marchi, Valentina Gaglione, Nina Nasilli, Lorenzo Mari, Enea Roversi, Raffaele Guida, Claudia Zironi, Rita Galbucci, Klaus Miser, Valentina Pinza, Raffaele Ferrario, Stefania Crozzoletti, Meth Sambiase, Claudio Bedocchi, Matteo Zattoni, Enzo Campi

 

*

 

https://www.facebook.com/groups/179852888755635/

https://www.facebook.com/pages/Paraboliche-dellultimo-giorno-Per-Emilio-Villa/531127780258414

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Bologna in lettere – Festival di letteratura contemporanea

16 giovedì Mag 2013

Posted by enzocampi61 in Babel, Bologna in lettere, Coabitazioni, Esistenze e Resistenze, Eventi, Festival di letteratura contemporanea, Il Baratto, Letteratura contemporanea, Letteratura Necessaria, poesia, Poesia concreta, Poetiche del pensiero, Ricognizioni, Uncategorized

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100 thousand poets for change, Agnese Leo, Alessandro Brusa, Alessandro Dall'Olio, Anna Franceschini, Arena Orfeonica, Associazione ComPari, Bar dei LIcei, Bologna, Bologna in lettere, Chiara Bernini, Circolo Arci Guernelli, Circolo Arci La Vereda, Collettivo Self Poetry, Enea Roversi, Enzo Campi, Eventi, Fabio Fanuzzi, Festival, Festival di letteratura contemporanea, Francesca Del Moro, FuZZ Studio, Gassid Babilonia, Gruppo 77, Gruppo 98 Poesia, IBS Bookshop, Jacopo Ninni, L'Altra Babele, Le voci della luna, Letteratura Necessaria, Libreria delle Moline, Libreria Igor, Libreria Modo, Libreria Trame, Libreria Ubik, Loredana Magazzeni, Lortica, Luciano Mazziotta, Marinella Polidori, Mario Sboarina, Martina Campi, Memorie dal SottoSuono, Patrizia Dughero, Pina Piccolo, Poesia, Poesia contemporanea, qudulibri, Rita Galbucci, Roberta Sireno, Sergio Rotino, Spazio 100300 cafè, Tarcaban Cafè, Tedofra Artgallery, Trattoria Baraldi, Valentina Gaglione, Vasily Biserov, Vincenzo Bagnoli, Vino al Vino

Con il Patrocinio di

logo colori 4 epigrafe

co_BO_nuovo

su progetto e concertazione di Enzo Campi
 
in collaborazione con
 
Le Voci della Luna, Letteratura Necessaria
100 Thousand Poets for Change-Bologna, qudulibri
Associazione ComPari, Collettivo Self Poetry, Gruppo 98 Poesia
Gruppo 77, Memorie dal SottoSuono, FuZZ Studio

Continua a leggere →

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