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Due parole su “Il banchetto di Rosaspina. Di virtù e maledizioni”.
Uno spettacolo di e con Alessandra Gabriela Baldoni. E con: Giancarlo Sissa, Mario Sboarina, Martina Campi, Luna Marie. Presso Generativa, Via Alessandrini 11, Bologna, 16 settembre.
Al banchetto di Rosaspina il pubblico è invitato a prendere posto intorno a un tavolo imbandito e ornato di candele. La fanciulla della fiaba tradizionale, qui ripresa dalla celebre versione dei fratelli Grimm, rivolge verso i convitati gli occhi chiusi, abbandonata su una sedia nei suoi abiti sontuosi. Dietro di lei un intreccio di musica e versi anticipa l’atmosfera malinconica del castello immerso nella quiete. La poesia chiede silenzio e una lunghissima attesa. Il narratore-anima racconta la storia che tutti conosciamo, mentre le carte dei tarocchi mostrate ai presenti ne scandiscono i vari momenti investendoli di un carattere mistico-divinatorio. Tutto si compie così come sappiamo, ma nel momento in cui la principessa sprofonda nel sonno la fiaba trova un nuovo corso.
Il suo sguardo si apre sul sogno, ed è a questo punto che ha inizio il vero banchetto, il vero incontro tra noi e lei. Solo dialogando con la propria anima, incarnata sulla scena, Rosaspina potrà arrivare a una rinascita. Solo dopo aver conosciuto il buio potrà ritrovare la luce. Sprofonderà nelle oscure correnti del caos finché a condurla al risveglio non sarà il bacio di un principe bensì l’umiltà.
Gli autori di questa suggestiva rivisitazione sono partiti dal chiedersi che cosa accada nei cento anni di sonno e sogno di Rosaspina e per ricostruire il suo percorso onirico hanno studiato le più antiche origini della fiaba e attinto ai capisaldi poetici, filosofici e spirituali del Novecento. Tra le fonti di ispirazione sono presenti Etty Hillesum, Simone Weil, Cristina Campo, René Daumal ma a emergere con forza è soprattutto la lezione di Jung. Ad accompagnare Rosaspina nel suo viaggio sono infatti lo spirito del tempo e lo spirito del profondo, di cui si tratta nel Liber Novus, e l’anima, che per Jung rappresenta l’elemento inconscio, l’archetipo della vita stessa, l’interiorità contrapposta alla maschera. Riprendendo una metafora antichissima, l’anima viene qui identificata con un uccello e ad essa si arriva solo distaccandosi dalle cose esteriori, per mezzo del sapere del cuore, di cui il testo junghiano dice che si può raggiungere solo vivendo appieno la propria vita.
Lontana dalla figura stilizzata e passiva della fiaba, Rosaspina prende corpo intervenendo sul proprio destino. Sceglie di sfuggire alla solitudine dorata del castello salendo alla torre per pungersi all’arcolaio e nel sonno compie un percorso interiore non privo di conflitti che la porterà ad abbracciare la vita con pienezza, vincendo con l’umiltà il vincolo stesso rappresentato dalle proprie virtù. Reagisce così all’influsso degli astri (le dodici fate alludono tra l’altro ai segni dello zodiaco), alla predestinazione simboleggiata dai tarocchi e muove alla ricerca del proprio cielo, quello in cui la sua anima potrà librarsi.
Il pubblico è coinvolto sapientemente nella vicenda, grazie alla recitazione impeccabile degli attori, al fascino ipnotico del registro poetico che è stato scelto per il testo, alle trame sonore raffinate e rarefatte che punteggiano la rappresentazione. Attraverso Rosaspina è portato così a varcare la soglia che conduce dentro di sé, a intraprendere a sua volta un cammino che proseguirà anche dopo il riaccendersi delle luci nella sala (Francesca Del Moro)