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Enzo Campi, Alessandra Pigliaru – Le “tessiture” di Enrico De Lea

25 domenica Nov 2018

Posted by enzocampi61 in Coabitazioni, critica letteraria, Filosofia, Letteratura contemporanea, poesia, Poetiche del pensiero, Saggistica, Uncategorized

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Alessandra Pigliaru, Critica, critica letteraria, Dall'intramata tessitura, Enrico De Lea, Enzo Campi, Filosofia, Letteratura, letture, Poesia, Poesia contemporanea, Poesia e filosofia, poetica, riflessioni, Ruderi del Tauro, testi

 

 

 

Enzo Campi

 

Il calco, gli infinitesimi e la macchina semantica

Per tracciare le linee della poetica di De Lea non ci si può limitare solo all’opera che viene qui presentata, ma bisogna riferirsi, anche e almeno, all’opera immediatamente precedente: Ruderi del Tauro.

C’è chi sostiene che il raffronto sia pratica necessaria e indispensabile per qualsiasi approccio critico.

Qui si tratta di certificare una lampante continuità concettuale e stilistica. Dall’intramata tessitura è il figlio diretto di Ruderi del Tauro, ma cambiando l’ordine dei fattori il prodotto resta inalterato. Due opere intercambiabili quindi, due opere che propongono le stesse catene patemiche, le stesse cesure, gli stessi oggetti semantici.

Forse condizionato, in primo luogo da uno specifico passaggio dell’opera (“[…] i lumi come / dispositivi, neri e gaudiosi lumi in valle”) e in secondo luogo da un discorso già abbozzato nel mio Gesti d’aria e incombenze di luce (Genova, 2008), non parlerò di infinito, ma di infinitesimo, o meglio: degli infinitesimi.

   Cosa sono gli infinitesimi?

Alla stregua dei dispositivi che Deleuze riscontrava in Foucault, sono linee e punti volti a delineare e riconfigurare quella che potremmo chiamare superficie. Se fosse possibile traslare la teoria dei dispositivi su un piano esclusivamente letterario e se  la superficie fosse l’opera, gli infinitesimi rappresenterebbero le varianti che ripropongono l’uguale ridefinendolo.

Leggendo De Lea, come del resto già notato da altri, viene spontaneo pensare a un calco. Sembra quasi che una delle preoccupazioni dell’autore sia quella di rendersi a tutti i costi riconoscibile. La disseminazione, quasi seriale, di quelli che andremo a definire elementi primari (cave, crinali, armenti, torri, rocce, fortini, valli, dirupi, ciottoli, eremi, cortecce, ecc.), quegli elementi che puntualmente ritornano in un continuum letterario così preciso da sembrare quasi matematico, ci porta istintivamente a considerare l’opera come una macchina i cui ingranaggi sono sempre ben oliati dall’autore/untore. Questa pratica, come già accennato, non si verifica solo all’interno della stessa opera, ma anche tra un’opera e l’altra; Ruderi del Tauro si apre con la serie “acque reali” e nel primo componimento dell’intramata tessitura possiamo leggere: “si tace il ritorno dell’acqua”. Questa è solo una delle innumerevoli occorrenze, ma diventa interessante notare come l’epilogo dell’intramata tessitura proponga un doppio ritorno e certifichi ciò che andrò a dire più avanti: i “lumi gaudiosi” del cominciamento divengono, nell’epilogo, i “refusi delle prime luci”, e il passaggio “Verso una piena visione / dell’alfa materna, l’indizio-inizio / che al tauro riconduce” ci riporta direttamente ai luoghi della silloge precedente.   Allora, quel calco restituisce un’impronta chiara e ben definita. Quel calco è l’uguale cui ci si riferiva poc’anzi.

L’uguale presuppone una sorta di ripetizione (che, tra l’altro, è lampante), ma ciò che conta nella scrittura di De Lea è la differenza (seppur minima e, volutamente, minimizzata) che riconfigura gli infinitesimi del calco originario. Mai parola fu più adatta, perché la scrittura qui esaminata si pratica proprio in ciò da cui proviene: nei padri (reali, putativi o divini che siano), nella terra e nei suoi cantori/abitatori/seminatori, negli usi e nei costumi caduti in disgrazia o semplicemente dimenticati, nelle cose esposte al martirio del tempo, nei ruderi che preservano, idealmente, le voci degli avi, in poche parole da quell’urgenza (anche metafisica) che indirizza l’autore verso l’origine, allo scopo precipuo di rendersi sorgivo e quindi aperto.

   Qual è l’apertura che qui si vagheggia?

In realtà ce ne sono diverse, almeno una per ogni serie di dispositivi.

In questa poetica la disseminazione semantica si nutre di una memoria spesso enunciativa.

Non a caso le prime linee dei dispositivi foucaultiani si riferiscono alla «visibilità» e all’«enunciazione». Si dice (di) una cosa, in primo luogo, per mostrare quella cosa, ancor prima di conferirle una struttura e eventualmente un’essenza. Struttura ed essenza vengono dopo, quando De Lea fa scendere in campo le cosiddette «linee di forze», quelle linee che fanno da collegamento, rettificano, aprono ad una prosecuzione: così gli eremi cominciano ad ospitare gli anacoreti, i ciottoli disegnano le strade su cui imbastire il transito, le valli si riempiono di fumi e vapori, le cortecce mostrano le pieghe (i segni del vissuto) dei tronchi, le torri si ricoprono di muschio, ecc.  Così facendo De Lea traccia i margini della sua personalissima strada maestra e comincia a disegnare la tessitura del suo reticolato.

Ma il reticolato vero e proprio (quello che si potrebbe definire «intramato») comincia a delinearsi quando scendono in campo le cosiddette «linee di soggettivazione».

   Che cos’è una linea di soggettivazione?

Scomodiamo Deleuze:

“[…] una linea di soggettivazione è un processo, una produzione di soggettività all’interno di un dispositivo […] È una linea di fuga. Sfugge alle linee precedenti, se ne fugge. Il Sé non è né un sapere né un potere. È un processo di individuazione che si esercita su gruppi o su persone e si sottrae ai rapporti di forza stabiliti come pure ai saperi costituiti: una sorta di plusvalore”(G. Deleuze, Che cos’è un dispositivo?, trad. A. Moscati, Cronopio, Napoli, 2007, p. 17).

Ecco allora che il soggetto comincia a farsi largo tra pietre, ruderi, barche, alberi, abbandona la pura enunciazione e transita – non proprio in prima persona, ma spesso attraverso un processo di autoriflessività – nei suoi stessi luoghi mnemonici e semantici. Il soggetto, pur senza invadere la scena, diviene attivo, cerca di innestare una presenza dinamica in una struttura che fino a quel momento poteva definirsi contemplativa. Così le pieghe dei tronchi diventano piaghe, la rugiada diviene saliva o sperma, i canti diventano preci e orazioni. Tutto sembra fluire in una scansione ordinata e consecutiva.

Per quanto possa sembrare una contraddizione in termini, una delle presenze dinamiche più forti è rappresentata dalle ombre e dai morti (“i morti hanno la luce ultima e aurorale”). Le ombre sono quelle dei padri, che accusano, che pretendono attenzione, che continuano a dettare legge, che fomentano nei figli la disseminazione dei dispositivi attraverso i quali illudersi di poter fuggire dal peso della stirpe.

Il soggetto non si auto-investe della carica di regnante assoluto ma comunque si affanna nel cercare di riconfigurare l’asse paradigmatico dell’opera proprio attraverso l’uso libero (ma ordinato per scansioni cicliche e puntuali) degli infinitesimi, ovvero dei dispositivi volti a creare la differenza.

Il soggetto – per quanto rifratto, differito e, per così dire, riferito dagli oggetti semantici che popolano la saga –  ha volutamente usato le «linee di soggettivazione» per innestare il proprio seme di figlio nella terra madre (quella ove scontrarsi con tutte le stirpi), e i frutti che ne verranno sono, a tutti gli effetti, delle fratture.

In questa sorta di progressione semantica/matematica eccoci quindi giunti all’ultima serie dei dispositivi che è rappresentata proprio dalle «linee di incrinatura e di frattura».

Così si cominciano a moltiplicare le lapidi, i morti sfilano in processione, l’albero viene figurato a croce, l’acqua cede il passo al “mestruo delle valli”, sotto i sassi scopriamo il “verminaio”, ecc. Ma c’è un momento decisivo in cui tutto diviene chiaro (i lumi di notte disegnano “una corona cimiteriale”) e si comincia a comprendere che tutta quest’apologia della memoria (vissuta realmente, assimilata dai padri, o semplicemente dedotta e immaginata da tutto ciò che appartiene all’inverificabile) verte essenzialmente sulla perdita, perdita del sé  in un altro che non c’è più, in un tutt’altro che non si è ancora costituito, e quindi perdita dell’origine e insieme del divenire. Ma quel divenire cui De Lea aspira non può fare a meno di cibarsi dell’origine.

Il circolo è (in)naturalmente vizioso. Da qui il transito inesausto e masochista del seminatore che sparge il verbo della perdita, come esemplarmente sintetizzato a mo’ di dichiarazione di poetica qui

Lumi, segnali, segni, signature,

semi di luce, sementi del chiarore

illùne, un’assenza nel guscio,

nella vagina asciutta della terra,

insediamo per verba gli atti

dell’ostinazione della presenza vana, liberiamo

lo sguardo, ammutoliamo con i nostri morti.

Questa è la macchina perfetta di De Lea, una macchina poetica e poematica.

L’autore «sparisce» mirabilmente al suo interno. E a noi lettori non resta che cercarlo negli oggetti semantici che egli mette al lavoro.

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Alessandra Pigliaru

Parola, nome, relazione

Della parola

 

La poesia è figlia della notte, ricordava Jabès. Dovrà usare la voce per uscire dall’oscurità. Si farà trasparente la parola poetica, e non invisibile; raccoglierà i brandelli di ciò che in altro modo non può essere detto. C’è una necessità nel dire poetico che sovverte l’alba e si fa saldo coro degli opposti. Per poter vedere quell’indistinto che preme alla soglia del giorno si dovrà muovere con cautela verso un lume, oppure lasciarsi vincere dalla caduta in un altrove. C’è un doppio monito nelle parole di Jabès: da una parte si deve stare in guardia da chi canta immobilizzato dalla sorpresa e dall’altra ci si deve far piegare dalla notte come da una confidente a cui tendere le mani. La notte conosce l’intramata tessitura della memoria, del sofferto e cogente desiderio che dalla terra passa al verso. La nuova silloge di Enrico De Lea si fa largo nell’indistinto e caotico fragore dell’oscurità per dire, una volta per tutte, che non si arriva al mondo da soli. Neri e gaudiosi lumi in valle è la sezione di apertura dell’intero volume e la dichiarazione di un impossibile spaesamento. De Lea sa bene infatti che non ci si espone se non in quel noi che presagisce il passo a venire. Il coro è questo dirsi voce solo in quel noi. Da un plurale che dissolve l’aderenza dell’Io dunque, De Lea intona il proprio avvertimento. In quella terra raccontata dal poeta tuttavia le mani tese alla confidente sono come visitate da un linguaggio che ci parla; il dasein infatti sta nei versi come abitacolo di una perpetua veggenza. Quel ci che contraddistingue la tonalità emotiva è fonte sorgiva dell’essere-parola. Qui e ora o al di là?

Del nome

 

La nominazione è una faccenda assai complicata. Determina un soggetto che abbia coscienza di essere tale e una lingua da considerarsi familiare. Nominare le cose conforta sulla possibilità di mantenere in vita l’ossessione del passaggio. Eppure alla nominazione è sottesa un’ambivalenza linguistica di fondo. Insieme al nome, come suggeriva Blanchot, si decreta una sentenza di morte. Un trapasso necessario potremmo dire, proprio perché nominare riferisce di una scomparsa e insieme di una resurrezione nella parola. La poesia, che non soccombe all’ombra dell’algido concetto, mostra questo turbamento abbacinante del linguaggio in tutto il suo tremore. Nei pressi di una nominazione tradita e riconsegnata alla visione poetica, incontriamo l’opera di Enrico De Lea. L’iride si stempera e racconta di un occhio che sonda al di là. Il poeta diventa aruspice delle sue stesse viscere esposte in terra. Affidare al mare, senza un nome, / le ombre temibili del sonno, / invocando protezione, madre nera, / all’abbraccio dell’alba. Il nome diventa un’abrasione sulla lapide, un simbolo nella canicola del giorno a venire. Ma qual è il nome che va cercando De Lea? Quello del riconoscimento di sé oppure un nome alt(r)o, originario, che convochi il soggetto della parola? Certamente siamo in presenza di una salda andatura terrestre, di un solido colloquio con il proprio corredo familiare; ed è proprio a quest’ultimo che De Lea dà voce, in un coro inesausto di accadimenti che radunano a sé quarantena delle madri e accuse dei padri. Il nome è un sottofondo muto, qualcosa da rendere – indicibile – al rumore della propria trama d’infanzia. Il nome è anche quello agognato, quello a cui si stenta a credere se significa abbandono. Tentare l’ascensione / tra i sentieri invasi dalla storia, / dalle siepi di spine trionfanti. / Attrezzare non le mani, / ma il soffio con cui resisti / al sangue, ai graffi, / alle benvenute ferite. Il soffio come parola che travalica la storia,  sa congedare la morte e mettere a frutto la semenza della generazione. Quell’ascensione è un’eventualità abissale di redimere le trappole del falso sé, di impastarsi alla brocca sorgiva che tuttavia si sottrae. Continuamente.

Nomi da proferire come scale in pietra / che il piede nudo ascolta, divenuto / la leggerezza dell’infamia, / il segno del tradire degli eredi. Al corredo familiare che il poeta riunisce non si può sfuggire. La tradizione, come il tradimento, è un fardello da portare come un sintomo di mancata rispondenza alla propria tessitura. Ci si svesta dunque dal maldestro sonno della stirpe, ci si avventuri nella speculare dimora del linguaggio che, se non riferito all’altro, rischia di stare come peso morto del ricordo. Quel lume che doveva assistere al cedimento della notte diventa consapevolezza del sé.

Della relazione

 

Solo davanti al volto dell’altro il poeta arriva al due. In un respiro pieno e incessante. Perché il volto è segno di un’attualità interrogante; è fondo che perde la neutralità del noi per diventare tu. Il volto nelle Arie, seconda e poderosa sezione della silloge, non si attarda ad emergere e viene reclamato per dare statuto all’io. Traccio dei volti sopra certe rocce, / per primo il tuo e non lo disconosco, / anzi lo guardo, gli parlo a volte, lo nascondo. Il volto è dunque traccia dell’infinito di levinasiana memoria ma non c’è alcun appello alla responsabilità; dal volto non arriva alcuna preoccupazione che ripeta l’asfissia degli avi. Integrati i moniti genitoriali, compreso il rischio della dimenticanza, il poeta diventa artefice della propria esistenza. Quel volto disegnato, diventa il gioco dell’incontro con l’altro. Una possibilità di entrare in relazione che il coro non consentiva pienamente. L’altro è attore dell’incontro a venire che non può essere più rimandato. È qui che l’incubo dell’accusa e della quarantena si risolve per diventare flusso desiderante dell’altro. Un flusso nomade in cui i soggetti, almeno due, abitano il crinale dell’al di là. La relazione consente, poco più avanti, di mostrare che Siamo, nei padri, dentro le visioni / e, nelle madri, dentro carni e voci. Lo scacco della nominazione lascia qui spazio al dialogo, all’individuazione di sé traversando la prossimità. T’informo che alle volte il mondo è nuovo. / T’informo che ho saperi inusitati, su alberi / e su foglie, e sui cartoni lasciati dai dormienti, / e sugli spazi là intravisti all’alba. / T’informo pure che dimentico e ricordo, / che ho mani nascoste nelle tasche. / T’informo, inoltre, che – appena ieri – / indifferente andavo per burrasche. Il tu è mediazione tra sé e il circostante perché la percezione è doppia. C’è una parola poetica che costruisce il senso, manque à être che governa la distanza dal noi e non ci sa rassicurare – fortunatamente. Patirne lo slittamento significa toccare l’altro sparpagliandone le impronte. Perché d’acqua e farina sono quelle impronte che la scrittura tramanda.

E, pure, dico “grazie” a quel poco / di luce originaria, a quel che vedo / e che ieri vedevo. Calmo, rientro / nei possessi che l’occhio raduna. La parola poetica produce consonanze temporali, attutisce i riverberi dell’ombra e sa riferire di quella gratitudine originaria, rischiarata la radura umbratile dell’essere. Quel luogo notturno che Jabès esortava a percorrere e che De Lea si appresta a riunire. Dalla mano all’occhio. Dal nome al passo al di là.

 

**

Note critiche a Enrico De Lea

Dall’intramata tessitura (Smasher edizioni, 2011)

 

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Paraboliche dell’ultimo giorno – Milano

22 domenica Set 2013

Posted by enzocampi61 in Arte contemporanea, Babel, Emilio Villa, Eventi, Letteratura Necessaria, Parabol(ich)e dell'ultimo giorno - Per Emilio Villa, poesia, Poesia concreta, Poetiche del pensiero, Uncategorized, Voci del Novecento

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Andrea Cortellessa, Andrea Inglese, Antonio Sparzani, Azione 37, Biagio Cepollaro, Daniele Bellomi, Daniele Poletti, Daniele Ventre, Davide Racca, Dome Bulfaro, Dot.Com Press, Emanuele Magri, Enrico De Lea, Enzo Campi, Eventi, Fabio Pedone, Fabrizio Bianchi, Flavio Ermini, Frames e Poiesis III, Francesca Del Moro, Francesco Forlani, Francesco Marotta, Galleria Ostrakon, Gerardo De Stefano, Gian Paolo Guerini, Gian Ruggero Manzoni, Giorgio Mascitelli, Giorgio Moio, Giovanna Frene, Giovanni Campi, Giulia Niccolai, Giuliano Mesa, Giuseppe Zuccarino, Ivan Fassio, Jacopo Ninni, La me ga scrito, le mûra di t;éb;é, Le Voci della Luna edizioni, Lello Voce, Letteratura Necessaria, Libreria Popolare di Via Tadino, Luigi Severi, Marco Ercolani, Mario Sboarina, Martina Campi, Michele Ortore, Milano, Paolo Zublena, Parabol(ich)e dell'ultimo giorno, Poesia, Poesia concreta, Poesia contemporanea, Reading, Renata Morresi, Rita R. Florit, Silvia Molesini, Stefano delle Monache, Teresa Marino, Tiziana Cera Rosco, Tu se sai dire dillo, Voci del Novecento

loc milano def

Venerdì 27 e sabato 28 Settembre, ore 18.30
Galleria Ostrakon, Via Pastrengo 15, Milano
nell’ambito delle iniziative di Tu sei sai dire dillo

LETTERATURA NECESSARIA – AZIONE 37
PARABOL(ICH)E DELL’ULTIMO GIORNO
PER EMILIO VILLA

 

Dot.Com Press – Le Voci della Luna edizioni, 2013

copertina.indd

antologia di prosa, poesia e saggistica a cura di Enzo Campi

contributi critici, operazioni verbovisive e scritti dedicati di

Daniele Bellomi, Dome Bulfaro,
Giovanni Campi, Biagio Cepollaro, Tiziana Cera Rosco,
Andrea Cortellessa, Enrico De Lea,
Gerardo de Stefano, Marco Ercolani, Flavio Ermini,
Ivan Fassio, Rita R. Florit, Giovanna Frene,
Gian Paolo Guerini, Gian Ruggero Manzoni,
Francesco Marotta, Giorgio Moio,
Silvia Molesini, Renata Morresi, Giulia Niccolai,
Jacopo Ninni, Michele Ortore, Fabio Pedone,
Daniele Poletti, Davide Racca, Daniele Ventre,
Lello Voce, Giuseppe Zuccarino, Enzo Campi 

Il volume comprende un’antologia di testi di Emilio Villa

 

***

Questo volume rappresenta il plusvalore cartaceo di un progetto ad ampio raggio, curato dal Collettivo “Letteratura Necessaria”, che intende ricordare e veicolare le opere di Emilio Villa attraverso una serie di iniziative che prenderanno vita e forma negli eventi realizzati dal vivo e nella divulgazione, in rete, di scritti, contributi critici e storiografici. Il progetto si è già consolidato dal vivo, nel 2013, con una serie di passi di avvicinamento, attraverso letture, recital e riflessione critiche. Da settembre in poi è prevista la realizzazione di una serie di eventi che toccheranno le principali città italiane. Tra reading, performance, conferenze, videoproiezioni, seminari, installazioni, mostre, il progetto si svilupperà lungo tutto l’arco del 2014 (anno del centenario della nascita di Villa) e prevede il coinvolgimento, a vario titolo, di circa un centinaio di autori e artisti.

***

Si ringraziano Aldo Tagliaferri per la determinante collaborazione, Francesca e Stefania Villa per la autorizzazione alla pubblicazione di una selezione di testi di Emilio Villa, e tutti coloro che, attraverso varie modalità, hanno collaborato e collaboreranno al progetto nelle sue varie estensioni

***
Il volume può essere acquistato scrivendo a
info@dotcompress.it

***

Qui il programma completo di tutta la rassegna

GALLERIA OSTRAKON

via Pastrengo 15 Milano  –  27 settembre, venerdì

ore 18.30

AAVV, “Parabol(ich)e dell’ultimo giorno”, Le voci della luna, 2013

 

A cura di Enzo Campi

con Biagio Cepollaro, Fabrizio Bianchi, Enzo Campi

ore 21.00

Omaggi creativi e critici ad Emilio Villa

 

Con Dome Bulfaro, Tiziana Cera Rosco, Daniele Bellomi,

Enrico De Lea, Francesco Marotta, Francesco Forlani,

Biagio Cepollaro, Jacopo Ninni, Enzo Campi

 

 

GALLERIA OSTRAKON 

via Pastrengo 15 Milano  28 settembre, sabato

ore 18.30

AAVV, “Parabol(ich)e dell’ultimo giorno”, Le voci della luna, 2013

 

LA ME GA SCRITO (III)

video

Testo Emilio Villa
con Dome Bulfaro
regia Gianpaolo Contestabile

 

 

Da le mûra di t;éb;é ai Trous

Recital multimediale di

Martina Campi, Francesca Del Moro, Mario Sboarina, Enzo Campi

ore 21.00

Frames e Poiesis III

 

(rassegna di video poesia o poesia video)

Emanuele Magri e Biagio Cepollaro

 

 

 

 

LABORATORIO 1 APRILE

 

via Nicola d’Apulia,12 – 2 ottobre, mercoledì

 

ore 17.30

Mentre il pianeta ruota

Inaugurazione mostra di pittura di Biagio Cepollaro

 

ore 19.00

Conversazione con Antonio Sparzani su

Paul K. Feyerabend,

Contro l’autonomia, Il cammino comune delle scienze e delle arti.

ore 21.00

Conversazione su

La fabbrica dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista

di Maurizio Lazzarato

A cura di Giorgio Mascitelli e Pino Tripodi

 

 

 

LIBRERIA POPOLARE DI VIA TADINO

 

via A.Tadino 18  – 3 ottobre, giovedì

ore 18.30

Giuliano Mesa e Biagio Cepollaro: una piccola fabbrica

A cura di Luigi Metropoli

Biagio Cepollaro legge Giuliano Mesa

Sono stati invitati:

Giusi Drago, Francesco Forlani, Andrea Inglese, Teresa Marino,

Giorgio Mascitelli,  Davide Racca, Luigi Severi e Paolo Zublena

ore 21.00

Andrea Inglese performance con il compositore Stefano delle Monache e con la partecipazione del maestro Giovanni Cospito.

Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato

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Paraboliche dell’ultimo giorno – Il libro e i primi eventi

15 domenica Set 2013

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Il volume può essere acquistato scrivendo a
info@dotcompress.it

*

AA.VV.
PARABOL(ICH)E DELL’ULTIMO GIORNO
PER EMILIO VILLA

Dot.Com Press – Le Voci della Luna edizioni, 2013
antologia di prosa, poesia e saggistica a cura di Enzo Campi

contributi critici, operazioni verbovisive e scritti dedicati di

Daniele Bellomi, Dome Bulfaro, 
Giovanni Campi, Biagio Cepollaro, Tiziana Cera Rosco,
Andrea Cortellessa, Enrico De Lea,
Gerardo de Stefano, Marco Ercolani, Flavio Ermini,
Ivan Fassio, Rita R. Florit, Giovanna Frene,
Gian Paolo Guerini, Gian Ruggero Manzoni,
Francesco Marotta, Giorgio Moio,
Silvia Molesini, Renata Morresi, Giulia Niccolai,
Jacopo Ninni, Michele Ortore, Fabio Pedone,
Daniele Poletti, Davide Racca, Daniele Ventre,
Lello Voce, Giuseppe Zuccarino, Enzo Campi 

Il volume comprende un’antologia di testi di Emilio Villa

***

Questo volume rappresenta il plusvalore cartaceo di un progetto ad ampio raggio, curato dal Collettivo “Letteratura Necessaria”, che intende ricordare e veicolare le opere di Emilio Villa attraverso una serie di iniziative che prenderanno vita e forma negli eventi realizzati dal vivo e nella divulgazione, in rete, di scritti, contributi critici e storiografici. Il progetto si è già consolidato dal vivo, nel 2013, con una serie di passi di avvicinamento, attraverso letture, recital e riflessione critiche. Da settembre in poi è prevista la realizzazione di una serie di eventi che toccheranno le principali città italiane. Tra reading, performance, conferenze, videoproiezioni, seminari, installazioni, mostre, il progetto si svilupperà lungo tutto l’arco del 2014 (anno del centenario della nascita di Villa) e prevede il coinvolgimento, a vario titolo, di circa un centinaio di autori e artisti.

***

Si ringraziano Aldo Tagliaferri per la determinante collaborazione, Francesco e Stefania Villa per l’autorizzazione alla pubblicazione di una selezione di testi di Emilio Villa, e tutti coloro che, attraverso varie modalità, hanno collaborato e collaboreranno al progetto nelle sue varie estensioni

***

Prime presentazioni :

Castelfranco Emilia (MO), Biblioteca Comunale, 22 Settembre ore 11.00

Milano, Galleria Ostrakon, 27/28 settembre ore 18.30

Bologna, Libreria della Moline , 5 Ottobre, ore 18.00

Bologna, Spazio 100300, 12 ottobre

Torino, Galleria Oblom, 25/26 Ottobre

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Letteratura Necessaria – Azione 23 – Percorsi di lettura

16 venerdì Nov 2012

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Letteratura Necessaria – Esistenze & Resistenze
Azione N° 23

Giovedì 22 Novembre ore 21.00
Libreria Modo Infoshop

Via Mascarella 24/b
BOLOGNA

Continua a leggere →

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Letteratura Necessaria – Azione 24 – Percorsi di lettura

14 mercoledì Nov 2012

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Letteratura Necessaria – Esistenze & Resistenze
Azione N° 24

IL BARATTO (IV step)
(Libera veicolazione di parentele elettive e letterarie)

Sabato 24 Novembre ore 18.00
Libreria Il Gabbiano – Via S. Carlo 21 – ABBIATEGRASSO (MI)

Marilena Renda, Gianluca Chierici, Andrea Leone,
Tiziana Cera Rosco, Jacopo Ninni, Enzo Campi

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Coabitazioni 3 (Giovenale, De Lea, Cavallera, Assiri, Mesa, Bellomi, Campi)

01 venerdì Giu 2012

Posted by enzocampi61 in Esistenze e Resistenze, Letteratura Necessaria, Uncategorized, Voci del Novecento

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alessandro assiri, Classi di resistenza, critica letteraria, Daniele Bellomi, Dell’opera disfatta, Enrico De Lea, Enzo Campi, gammm, Giuliano Mesa, inediti, la critica che vorrei, La dimora del tempo sospeso, Letteratura contemporanea, Letteratura Necessaria, Marco Giovenale, Nazione Indiana, Otto suffragi del bianco, Poesia, poesia2punto0, Poetarum Silva, Puntocritico, Rebstein, riflessioni, Roberto Cavallera, Samuel Beckett, Scritture, Sequenze per cunei e cilindri, stati caldi di vacanza, Vicolo cieco, Voci del Novecento

Consigli di lettura

Enrico De Lea – Otto suffragi del bianco

http://poetarumsilva.wordpress.com/2012/05/22/otto-suffragi-del-bianco-inediti-enrico-de-lea/

Marco Giovenale – Dell’opera disfatta

http://gammm.org/index.php/2007/05/02/opera-disfatta/

Roberto Cavallera – stati caldi di vacanza

http://www.nazioneindiana.com/2012/05/16/stati-caldi-di-vacanza/

Alessandro Assiri  – Vicolo cieco N°23 – La critica che vorrei

http://www.poesia2punto0.com/2012/05/17/vicolo-cieco-n-23-la-critica-che-vorrei/?fb_ref=.T7fTa1JKcGk.like&fb_source=timeline#.T74UuNVMv81

 

Giuliano Mesa – Domande. Da Samuel Beckett

http://puntocritico.eu/?p=3931

Daniele Bellomi – Classi di resistenza

http://rebstein.wordpress.com/2012/05/24/classi-di-resistenza/

Enzo Campi – Sequenze per cunei e cilindri

http://rebstein.wordpress.com/2012/05/26/sequenze-per-cunei-e-cilindri/

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Letteratura Necessaria – Esistenze e Resistenze – Azione N°13

28 sabato Apr 2012

Posted by enzocampi61 in Collana Ulteriora Mirari, Esistenze e Resistenze, Eventi, Letteratura Necessaria, Uncategorized

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Carmine De Falco, Dall'intramata tessitura, d’if edizioni, Edizioni Smasher, Enrico De Lea, Enzo Campi, Esistenze e Resistenze, Giorgio Bonacini, I resistenti, Le Voci della Luna edizioni, Letteratura Necessaria, Libreria delle Moline, Lorenzo Mari, Luca Ariano, Premio Giorgi, Premio I Miosotìs, Premio Ulteriora Mirari, Sequenze di Vento, Vincenzo Bagnoli

LETTERATURA NECESSARIA – ESISTENZE E RESISTENZE

 

AZIONE N° 13

 

Sabato 5 Maggio ore 18.00

LIBRERIA DELLE MOLINE

Via delle Moline 3/a

BOLOGNA

 

 

Enrico De Lea, Dall’intramata tessitura, Smasher edizioni,

Vincitore del Premio Letterario “Ulteriora Mirari” (2011)

Presentato da Vincenzo Bagnoli

 

Giorgio Bonacini, Sequenze di Vento, Le Voci della Luna edizioni,

Vincitore del Premio “Giorgi” (2011)

Presentato da Enzo Campi

 

Luca Ariano, Carmine De Falco, I Resistenti, D’If edizioni,

Vincitori del Premio “I Miosotìs” (2011)

Presentati da Lorenzo Mari

Enrico De Lea

 

È nato nel 1958 inSicilia, vive in Lombardia. Ha pubblicato Pause (Edizioni del Leone, 1992), Ruderi del Tauro (L’Arcolaio Editore, 2009, Finalista Premio Lorenzo Montano 2010), Dall’intramata tessitura (Smasher ed., 2011, Premio Ulteriora Mirari) e la sequenza poetica Da un’urgenza della terra-luce (Ass. Culturale La Luna, 2011, nella collana di poesia ed arte “Passaggi”, diretta da Eugenio De Signoribus). Suoi inediti sono stati premiati al Premio Poesia di Strada
2010 (Macerata – Festival Licenze Poetiche), mentre una silloge inedita, La furia refurtiva, è stata finalista al Premio Montano 2011. Con testi inediti è stato finalista al Premio Miosotis
2010 e 2011) Suoi testi sono apparsi su rivista (Specchio, Sud, Atelier, Registro di poesia, fra le altre) e in rete.

 

Giorgio Bonacini

 

È nato a Correggio (RE) nel 1955, dove vive e lavora. Laureato al DAMS di Bologna con una tesi su Roland Barthes. Negli anni 70/80 ha fatto parte, con peformance poetiche e azioni fluxus, del gruppo Simposio Differante. È stato collaboratore di redazione della rivista di estetica Parol. È redattore della rivista Anterem e suoi testi sono apparsi su varie riviste, tra cui: Poesia, Capoverso, Il Segnale, L’immaginazione, La Clessidra, Le Voci della Luna, Tracce-Cahiers d’art. È presente, in rete, su vari blog (La dimora del tempo sospeso, Blanc de ta nuque, Trasversale) e suoi testi sono editi in varie antologie.

Ha pubblicato: Non distruggete l’immondizia (Gabiot, 1976), Teneri acerbi (Anterem, 1988), L’edificio deserto (Edizioni di Parol, 1990), Sotto la luna, con Giovanni Infelise (Book ed. 1991), Falle farfalle (Anterem, 1998), Quattro metafore ingenue (Manni, 2005). Sequenze di vento (Le Voci della Luna, 2011) si è classificato al primo posto nell’edizione 2011 del Premio Giorgi.

 

 

Luca Ariano

Nato a Mortara (PV), vive a Parma. Ha pubblicato la raccolta di poesie Bagliori crepuscolari nel buio nel 1999. Numerose sue poesie sono apparse su riviste, blog e siti letterari su internet. Collabora con le riviste «ALI», «clanDestino», «La Barriera». Nel 2005 è uscita una sua plaquette ne La coda della galassia (Fara) e la sua seconda raccolta di poesie Bitume d’intorno (Edizioni del Bradipo) con la prefazione di Gian Ruggero Manzoni. Con Enrico Cerquiglini ha curato per Campanotto l’antologia Vicino alle nubi sulla montagna crollata (2008). Fa parte dello staff della casa editrice Kolibris. Nel 2009 una parte della sua plaquette Contratto a termine è stata pubblicata ne La borsa del viandante curata
da Chiara De Luca (Fara). Sempre nel 2009 ha curato con Luca Paci l’antologia Pro/Testo (Fara). Nel 2010 per le edizioni Farepoesia di Pavia è uscita la plaquette Contratto a termine con una nota di Francesco Marotta. Nel 2011 con Marco Baj per Officine Ultranovecento ha pubblicato il libro d’artista Tracce nel Fango. Con il poemetto I resistenti (di prossima pubblicazione per d’if edizioni), scritto insieme a Carmine De Falco, vince il Premio “I Miosotìs”.

Carmine De Falco

Pubblica la sua prima raccolta Linkami l’immagine nel 2006 per Fara editore. Nel 2007 partecipa al progetto editoriale “Specchio poetico” (Fara editore) con la raccolta Loop Vernissage, che condensa la sua produzione poetica dal 2000 al 2007. Nel 2006 scrive Napre, che uscirà, in parte, spezzettato in varie antologie, tra cui il portfolio del premio Miosotìs 2006 (d’If edizioni), “Nella borsa del viandante” a cura di Chiara De Luca (Fara 2009), “Attraverso la città” (Scuderi editore 2011). Partecipa ad antologie poetiche di impegno civile come “Vicino alle Nubi sulla Montagna crollata” (Campanotto 2008), “Pro/Testo” (Fara 2009) con il trittico Variazioni, “La Giusta collera” (Edizioni CFR) e su riviste come Tabard e Farepoesia. Dal 2010 lavora con Luca Ariano alla stesura a quattro mani dell’opera I Resistenti, un poemetto sull’Italia dei nostri giorni di prossima pubblicazione per le Edizioni d’If. Nel 2009 pubblica Italian Day – una giornata di maggio 2008 (Kolibris) poemetto in 4 parti. Promuove attività per l’arte contemporanea con l’associazione Componibile62.

Vincenzo Bagnoli

Vincenzo Bagnoli è nato nel 1967 a Bologna, dove vive. Ha suonato in una rock band, ha lavorato per periodici ed emittenti locali, ha svolto attività di ricerca e didattica all’Università e scritto saggi e monografie di critica letteraria (Contemporanea, Esedra 1997; Letterati e massa, Carocci 2000; Lo spazio del testo, Pendragon 2003). è tra i fondatori di «Versodove», rivista di letteratura, e attualmente lavora come redattore per la società editrice il Mulino. Ha pubblicato le raccolte di poesia 33 giri stereo LP (1980-2000) (Gallo & Calzati, 2004; musiche di Nicola Bagnoli), FM – onde corte (Bohumil, 2007; disegni di Giacomo Della Maria) e Deep Sky (d’if, 2007).

 

Enzo Campi

Autore e regista teatrale. Critico, poeta, scrittore.

Ha pubblicato per Liberodiscrivere edizioni (GE) i saggi Donne – (don)o e (ne)mesi (2007) e Gesti d’aria e incombenze di luce (2008); per BCE-Samiszdat (PR) il volume di poesie L’inestinguibile lucore dell’ombra (2009); per Smasher edizioni (ME) il poemetto Ipotesi Corpo (2010) e la raccolta Dei malnati fiori (2011). È redattore del blog La dimora del tempo sospeso.. Ha curato prefazioni e note critiche in diversi volumi di poesia.  Dal 2011 dirige, per Smasher edizioni, la collana di letteratura contemporanea Ulteriora Mirari e cura l’omonimo Premio Letterario. È ideatore e curatore del progetto di aggregazione letteraria “Letteratura Necessaria – Esistenze e Resistenze”.

Lorenzo Mari

Vive e studia a Bologna. Dopo aver partecipato ai fasti della rivista militante “Tabard”, collabora ora con le associazioni Casa Lettrice Malicuvata (www.malicuvata.it) e Culture di Confine (www.culturediconfine.it). Presente con i propri testi poetici su riviste e antologie, tra cui Pro/testo (Fara, 2009) e “La generazione entrante” (Ladolfi, 2011), ha pubblicato la raccolta Minuta di silenzio (L’Arcolaio, 2009). Insieme a Raphael d’Abdon ha tradotto l’autobiografia del poeta sudafricano Mario d’Offizi Bless Me Father (Compagnia delle Lettere, 2011).

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Enrico De Lea – Dall’intramata tessitura

05 domenica Feb 2012

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Alessandra Pigliaru, Collana Ulteriora Mirari, Dall'intramata tessitura, Edizioni Smasher, Enrico De Lea, Enzo Campi, Esistenze e Resistenze, Letteratura Necessaria, Poesia

Enrico De Lea

Dall’intramata tessitura

 

Edizioni Smasher – Collana Ulteriora Mirari – Sezione Monografie

Prefazione Alessandra Pigliaru

Postfazione Enzo Campi

Qui la scheda sul sito della casa editrice e la prefazione di Alessandra Pigliaru

http://www.edizionismasher.it/component/content/article/77/123-enricodelea.html

Enzo Campi – Il calco, gli infinitesimi e la macchina semantica

Per tracciare le linee della poetica di De Lea non ci si può limitare solo all’opera che viene qui presentata, ma bisogna riferirsi, anche e almeno, all’opera immediatamente precedente: Ruderi del Tauro.

C’è chi sostiene che il raffronto sia pratica necessaria e indispensabile per qualsiasi approccio critico.

Qui si tratta di certificare una lampante continuità concettuale e stilistica. Dall’intramata tessitura è il figlio diretto di Ruderi del Tauro, ma cambiando l’ordine dei fattori il prodotto resta inalterato. Due opere intercambiabili quindi, due opere che propongono le stesse catene patemiche, le stesse cesure, gli stessi oggetti semantici.

Forse condizionato, in primo luogo da uno specifico passaggio dell’opera (“[…] i lumi come / dispositivi, neri e gaudiosi lumi in valle”) e in secondo luogo da un discorso già abbozzato nel mio Gesti d’aria e incombenze di luce (Genova, 2008), non parlerò di infinito, ma di infinitesimo, o meglio: degli infinitesimi. Continua a leggere →

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