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“Ciò vuol dire, dissi a quel pidocchio infine, che la terra è piena di esseri che non sono usciti da te, ma da me perché io sono della terra Ca Ca, Ca Ca l’amore che non capisce nulla di se stesso perché capire è inquinare l’infinito e l’essere dell’infinito fu sempre di non essere un essere che a condizione di essere finito”. Ma basta con la filosofia. – Il divano marrone del boulevard della Blancarde 59 a Marsiglia aveva cessato di ispirarmi. – Capii che l’io non era un problema, che l’anima non lo è,  fuoco d’amore che si propulsa essere sotto la guardia eterna di un essere che è la base dell’amore. Come l’antracite è la base del fuoco e vivere è vivere d’amore, come essere è essere una nota, timbro interno di un insondabile amore –. Ma non amavo neppure quella mistica, le parole dell’essere non sono la dialettica come questo testo, sono ciò che non è il mostro, mostro che mostra la cacofonia, la cacofonia sotto la mistica, ma l’anima essere della cacofonia come questo testo è stilistica ahimè!

Allora?

Allora se io non sono che cacofonia, che è la voce del mio mal-essere, è tempo di fare essere il mio essere, farlo venire nel suo elemento, il male in cui sto male in essere perché non capisce il male. Perché le parole sono cacofonia e la grammatica le combina male, la grammatica le combina male, la grammatica che ha paura del male perché cerca sempre il bene, il ben-essere, quando il male è la base dell’essere, peste dolore della cacofonia, febbre malore della disarmonia, pustola éscara d’una polifonia ove l’essere non sta bene che nel male dell’essere, sifilide del suo infinito. Chi non si è sentito dormire e infine, cuore, riposare nell’erotico della sua febbre intera quando supera 40 gradi. Chi non ha amato la sanie, il salace della sanie ove il corpo, uterino, si riposa nell’utero della sua malattia. – Chi non ha amato le sue pustole e l’éscara della sua follia, e la sua peste erotica nel letto quando stanco si riposa sui carboni d’una malattia. – Benedetta sia ogni malattia, perché la malattia sonda l’essere e lo forza ad uscire vivo.

(Da Antonin Artaud, Non ho mai studiato nulla, pubblicato sulla rivista “84”, N°16, 1950. Traduzione italiana di Carlo Pasi, in AAVV, In forma di parole, Manuale Primo, Elitropia edizioni, Reggio Emilia, 1983)